– sentenza 12438 del 25 maggio 2006 – ribadisce il principio per cui un comportamento del dipendente altrimenti sanzionabile, anche con l’estrema sanzione del licenziamento, perde tale connotato quando costituisce una reazione a un comportamento provocatorio di un altro soggetto. Non può, cioè, considerarsi valido il licenziamento di un lavoratore che abbia risposto a “male parole” a un proprio superiore se questi lo aveva a sua volta offeso. Nella fattispecie, il lavoratore è stato leso per primo nella sua dignità e personalità dalle parole del dirigente. Dunque non gli è applicabile il principio, consolidato in giurisprudenza, in base al quale le espressioni offensive e le minacce proferite verso propri superiori costituiscono una giusta causa di licenziamento.
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