Nulla la clausola di aumento del canone, se elude la svalutazione monetaria
Pubblicato il 20 aprile 2015
Con sentenza
n. 5849 depositata il 24 marzo 2015, la Corte di Cassazione, terza sezione civile, ha respinto il ricorso presentato da una s.n.c., volto a far dichiarare la
nullità della clausola del contratto di locazione, con cui si prevedeva una variazione in aumento del canone locatizio.
Lamentava in particolare la società ricorrente, la
nullità di detta clausola per
contrasto con gli art. 32 e 79 della c.d. Legge “sull’equo canone” n. 392/1978.
In proposito, ha innanzitutto chiarito la Cassazione, che nei
rapporti di locazione aventi ad oggetto immobili ad uso non abitativo – diversamente che da quelli ad uso abitativo –
le parti sono libere di determinare, al momento della conclusione del contratto, la misura del canone locativo. Possono dunque
validamente prevedere variazioni dell’importo in aumento o in diminuzione, per gli anni o frazioni di anno successivi al primo, in dipendenza del mutato assetto di interessi.
Ciò che
non possono fare, invece, è prevedere
variazioni dell’importo del canone per gli anni successivi, atte ad eludere surrettiziamente la previsione di cui all’art. 32 Legge 392/1978, quale norma imperativa finalizzata a tenere indenne il canone concordato dal mutato potere d’acquisto della moneta.
Ora nel caso di specie – ha poi affermato la Cassazione confermando la sentenza impugnata –
non può pronunciarsi la richiesta nullità, posto che, come è stato correttamente rilevato in fase di merito, la previsione dell’aumento del canone per il secondo, terzo, quarto e quinto anno (arco temporale troppo breve perché il mutato potere d’acquisto della moneta possa incidere),
non si sarebbe tradotta in una violazione né diretta né indiretta dell’art. 32 Legge 392/1978.