Ulteriori chiarimenti in merito all’emissione di note di variazione Iva rilasciate ai sensi dell'articolo 26, commi 2 e 9, del DPR 633/72 arrivano dal principio di diritto n. 11/2021 dell’Agenzia delle Entrate.
Con il documento, datato 6 agosto 2021, l’Amministrazione finanziaria rivede la precedente posizione in merito alle condizioni per emettere la nota di variazione a fronte di prestazioni periodiche o continuative, correggendo il precedente principio n. 13/2019.
L'articolo 26, secondo comma, del D.P.R. n. 633/1972 individua, tra le fattispecie che consentono al cedente del bene o al prestatore di un servizio di variare in diminuzione l'imponibile, anche la "risoluzione" dell'operazione, senza porre alcuna distinzione tra risoluzione giudiziale o di diritto.
Ne deriva che, il verificarsi della condizione previsa dalla clausola risolutiva espressa apposta al contratto, come per esempio il mancato pagamento o l’inutile decorso del termine per adempiere, costituisce presupposto di legittimazione all'emissione della nota di variazione.
Sulla base di ciò, l’Agenzia fornisce ulteriori chiarimenti rispetto al precedente principio di diritto n. 13/2019, proprio in relazione all'ipotesi in cui una nota di variazione venga emessa dalla parte adempiente dopo la contestazione, in sede giudiziale, dei presupposti per l'attivazione di una clausola risolutiva espressa.
Nel citato principio di diritto n. 13/2019, l’Agenzia aveva precisato che nel caso in cui siano state intraprese azioni giudiziali nei confronti del fornitore, che si è avvalso di una clausola risolutiva espressa per “supposto” mancato adempimento della controparte, per poter operare la variazione, gli effetti della clausola invocata risultano subordinati all'esito del giudizio.
Tale posizione, però, contrastava con quanto già affermato dall’Agenzia nella risoluzione n. 449/2008, secondo cui, verificatasi la clausola risolutiva, il cedente/prestatore che abbia già emesso fattura per il prezzo ed assolto il conseguente obbligo di pagamento dell'Iva ha diritto di emettere la nota di variazione e di recuperare l'imposta, ai sensi dell'art. 26, comma 2, “senza che sia necessario attendere un formale atto di accertamento (negoziale o giudiziale) del verificarsi dell'anzidetta causa di risoluzione”.
Tuttavia, sono fatti salvi gli effetti di una eventuale successiva pronuncia giudiziale che, nel determinare l'infondatezza giuridica della dichiarazione risolutiva di parte, confermi le pattuizioni e gli obblighi contrattuali originari.
L’Agenzia delle Entrate, con il nuovo principio di diritto, vuole riallinearsi alla suddetta interpretazione.
In conclusione, quindi, il principio di diritto n. 11/2021 afferma che: in caso di attivazione di una clausola risolutiva espressa, che comporti l’estinzione per intero o parzialmente di un’operazione per la quale sia stata emessa fattura, successivamente alla registrazione, è legittima l'emissione di una nota di variazione anche in presenza di una contestazione, in sede giudiziale, dei presupposti per l'attivazione della citata clausola risolutiva espressa, senza che al riguardo si renda "(...) necessario attendere un formale atto di accertamento (negoziale o giudiziale) del verificarsi dell'anzidetta causa di risoluzione”.
Pertanto, il cedente/prestatore ha diritto di emettere la nota di variazione in diminuzione senza attendere l'esito del giudizio promosso dalla controparte che abbia contestato la risoluzione.
Il cessionario/committente, invece, sarà tenuto ad adempiere all'obbligo di cui al comma 5 e registrare la variazione, nei limiti della detrazione operata, salvo il suo diritto alla restituzione dell'importo pagato al cedente o prestatore a titolo di rivalsa.
Conclude, però, l’Agenzia che: “resta fermo l'obbligo, da parte del cedente/prestatore, di emettere nota di debito qualora l'eventuale e successivo accertamento giudiziale risulti favorevole alla controparte”.
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