No Tav. Attacco al cantiere, non fu attentato né terrorismo

Pubblicato il 29 settembre 2017

Smontata la tesi dell’”attentato” e delle “finalità terroristiche” a carico degli imputati attivisti No Tav che, alcuni anni fa, sferrarono un attacco al cantiere di Chiomonte, Torino, ove era in corso la realizzazione di un tunnel geognostico.

La tesi “più rigorosa” del primo grado – per cui gli imputati erano stati condannati ex art. 280 c.p. – era stata già smentita in Corte d’appello, con pronuncia ora confermata in Cassazione, in proposito respingendo il ricorso della Procura generale.

No attentato

In particolare, per aversi “attentato” è necessario, sul piano oggettivo, che ricorrano atti diretti in modo non equivoco a cagionare la morte o le lesioni delle persone individuate come bersaglio; mentre sul piano soggettivo, occorre quantomeno il dolo di omicidio o di lesioni. Ebbene nel caso di specie – come si evince anche dalle conversazioni intercettate – non ricorre dolo intenzionale o diretto da parte degli agenti circa la volontà di attentare all’incolumità delle persone che erano nel cantiere; v’era solo dolo eventuale, giacché gran parte degli oggetti era stata lanciata contro i mezzi e le attrezzature. Lo scopo dell’azione, in sostanza, era quello di sabotare il cantiere, non anche di attentare alla vita ed alla incolumità dei soggetti ivi presenti.

No terrorismo

La Corte esclude, parimenti, la finalità di terrorismo, in quanto la condotta in questione non risponde al perimetro tracciato dall’art. 270 sexies c.p., per il quale un’azione può essere considerata “terroristica” laddove sia idonea a provocare un danno grave ad un Paese o ad una organizzazione internazionale, nella loro dimensione istituzionale, perseguendo uno dei fini enunciati dalla medesima norma. Tra le finalità, in particolare, vi è quella di intimidire la popolazione, di costringere i poteri pubblici a compiere o astenersi dal compiere un qualsiasi atto, di destabilizzare o distruggere le strutture pubbliche fondamentali, costituzionali, economiche e sociali di un Paese o di una organizzazione internazionale.

Non rileva a tal fine il solo finalismo psicologico dichiarato dall’agente, ma serve che l’evento sia munito della gravità oggettiva e della portata disastrosa che la finalità di terrorismo esige. Per cui, nella specie – conclude la Corte Suprema con sentenza n. 44850 del 28 settembre 2017 – risulta corretta la pronuncia di secondo grado, laddove esclude che la condotta degli imputati non ingenerasse una situazione di destabilizzazione ed intimidazione tale, anche a livello di pubblici poteri, da integrare le anzidette finalità terroristiche.

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