La parte civile non è legittimata ad impugnare la condanna generica al risarcimento del danno, quando non ha efficacia di giudicato nel giudizio civile, circa l’entità del danno risarcibile.
La sentenza di condanna che dia al fatto una diversa qualificazione giuridica, può essere impugnata dalla parte civile solo quando ad essa corrisponda una diversa ricostruzione del fatto storico.
Sono questi i principi enunciati dalla Corte di Cassazione, terza sezione panale, dichiarando inammissibile l’impugnazione proposta dalla parte civile, avverso la sentenza di condanna dell’imputato ex art. 517 ter c.p., così diversamente riqualificando il fatto originariamente contestato ex art. 447 c.p. Si contestava, in particolare, all'imputato, titolare di un’impresa individuale, di aver importato per poi farne commercio, delle borse recanti un marchio contraffatto.
In tale contesto, dunque, la Corte Suprema affronta la questione dell’incidenza, ai fini risarcitori, della diversa qualificazione giuridica data al fatto. Ed afferma in particolare che se la diversa qualificazione giuridica accede al fatto immutato nella sua sussistenza e consistenza storica, la parte civile non è legittimata a dolersene, perché tale diversa qualificazione non vincola il giudice civile. A quest’ultimo, difatti, non interessa tanto il reato, quanto piuttosto il “fatto illecito”.
Orbane nel caso di specie – conclude la Cassazione con sentenza n. 14812 del 27 marzo 2017 - il fatto, così come storicamente accertato, è sempre rimasto uguale a sé stesso e la sua diversa qualificazione giuridica, per quanto errata, non è frutto di una diversa costruzione del fatto, incontestato nella sua dimensione storica.
Ne consegue che: a) la condanna generica e la diversa qualificazione giuridica data al fatto dal giudice penale, non vincolano il giudice civile nell'accertamento e nella sussistenza del c.d. danno – conseguenza; b) la parte civile non è legittimata ad impugnare.
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