Market abuse, conta il risultato

Pubblicato il 24 gennaio 2009

La Corte di cassazione, con una sentenza depositata il 20 gennaio 2009, la n. 2063, è intervenuta in materia di reati finanziari, precisando che, per aversi market abuse, non conta l'intenzione del soggetto ma le modalità con cui è posta in essere la condotta, cosicché modalità di negoziazione di titoli assolutamente non economiche per il venditore costituiscono un indizio di colpevolezza più che fondato. La vicenda esaminata dalla Suprema corte vedeva Coinvolto Andrea Crovetto, responsabile nel 2000 dell'unità organizzativa Web di Ubm (gruppo UniCredit) che era stato condannato, anche in appello, per un'operazione di copertura considerata illegittima; Crovetto aveva autorizzato la vendita di azioni della Banca di Roma per abbassare il prezzo e fare scattare una speciale clausola di lock in a danno degli investitori che avevano comprato reverse convertible sulle azioni dell'istituto di credito. I giudici di legittimità, in particolare, hanno precisato che l'artificiosità della condotta è un elemento oggettivo penalmente rilevante, che prescinde dall'intenzione del soggetto non avendo alcuna giustificazione economica se non quella di deprimere il prezzo del titolo artificiosamente e al di là del legittimo incontro tra domanda e offerta. La vicenda si è chiusa con una pronuncia della Cassazione con la quale è stata dichiarata la prescrizione del reato, ma anche l'infondatezza dei motivi di impugnazione.

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