Lo svolgimento di mansioni superiori può essere reclamabile all’ispettorato?

Pubblicato il 23 maggio 2014

Beta, in seguito a riorganizzazione aziendale affida a Tizio, precedentemente occupato in magazzino, il compito di responsabile del controllo della qualità della merce in conto acquisti e vendite. Dopo circa cinque mesi Gamma assume un altro dipendente per il controllo qualità e ordina a Tizio di tornare al precedente incarico di magazziniere. Tizio si oppone e intima a Beta di corrispondergli le differenze retributive per il periodo in cui ha svolto le mansioni superiori e di riconoscergli il relativo inquadramento. Quali conseguenze giuridiche possono prospettarsi all’esito di un eventuale accertamento ispettivo?



Premessa

Se nel precedente contributo è stata analizzata la disciplina del demansionamento con i relativi risvolti sul piano effettuale, civile e amministrativo, con il presente scritto occorre invece puntare lo sguardo sul fenomeno specularmente inverso: l’assegnazione al dipendente di mansioni superiori rispetto quelle di effettivo inquadramento. Anche in tale occasione la fattispecie sarà trattata sotto la lente ispettiva, al fine di comprendere quali potrebbero essere le conseguenze scaturenti da una verifica, che accerti lo svolgimento fattuale di compiti appannaggio di categorie superiori a quelle di inquadramento del lavoratore.

Il diritto alle mansioni superiori: requisiti

L’espletamento di mansioni superiori, così come il fenomeno del demansionamento, trova la propria fonte di regolamentazione nell’art. 2103 c.c. comma 1, la cui seconda parte dispone che “nel caso di assegnazione a mansioni superiori il prestatore ha diritto al trattamento corrispondente all’attività svolta, e l’assegnazione stessa diviene definitiva, ove la medesima non abbia avuto luogo per sostituzione di lavoratore assente con diritto alla conservazione del posto, dopo un periodo fissato dai contratti collettivi, e comunque non superiore a tre mesi”. Dalla lettura della norma si rileva che fattispecie è integrata dai seguenti requisiti:

  1. svolgimento, da parte del dipendente, di compiti che conformano la prestazione di lavoratori contrattualmente collocati in posizione superiore nell’organico di impresa;

  2. l’assegnazione dei compiti superiori trovi la propria causa in ragioni diverse da quelle volte a sostituire un lavoratore avente diritto alla conservazione del posto;

  3. svolgimento di tali mansioni professionalizzanti per un lasso di tempo fissato dal contratto e comunque non inferiore a tre mesi.


Al ricorrere congiunto dei
tre elementi sopra detti l’art. 2103 dispone sul piano effettuale che l’assegnazione diviene definitiva e quindi il lavoratore acquista la categoria inerente alle mansioni svolte con il relativo trattamento retributivo e previdenziale.

a) Il raffronto fattuale tra mansioni contrattuali e mansioni concretamente svolte

Tenendo a mente quanto osservato nel caso pratico de “L'Ispezione del Lavoro”, “Il demansionamento è sottoposto al controllo degli ispettori”, del 16 maggio 2014 in ordine al concetto di equivalenza delle mansioni, la giurisprudenza ritiene che l’operazione sulla base della quale si misura il pertinente inquadramento e conseguentemente si valuta se le mansioni assegnate al lavoratore risultino conformi alla professionalità contrattualmente riconosciuta si articolerebbe in tre fasi, poiché “[…] in primo luogo occorre accertare in fatto l’attività concretamente svolta dal lavoratore, poi occorre individuare categorie, qualifiche e gradi previsti dalla contrattazione collettiva ed infine occorre raffrontare il risultato della prima indagine con le previsioni di detta ultima disciplina”.

b) L’adibizione a mansioni superiori deve essere piena ed effettiva

È opinione generalmente condivisa quella per cui l’operazione di raffronto debba essere misurata concretamente anche sul piano quantitativo e qualitativo del lavoro svolto, nel senso che viene ritenuto indispensabile, ai fini del riconoscimento delle mansioni superiori, verificare che l’assegnazione alle mansioni superiori “[…] sia stata piena e che abbia determinato l’assunzione delle responsabilità e l’esercizio dell’autonomia e dell’iniziativa proprie della qualifica rivendicata”.

c) La sostituzione come causa ostativa all’applicazione dell’art. 2103 c.c.

In merito alla necessità che il dipendente abbia disbrigato attività senza che ciò sia stato funzionale a sostituire un altro lavoratore avente diritto alla conservazione del posto (es. perché malato o in maternità), la giurisprudenza di legittimità ha statuito che “per lavoratore assente con diritto alla conservazione del posto di lavoro, la cui sostituzione da parte di altro lavoratore avente una qualifica inferiore non attribuisce a quest’ultimo il diritto alla promozione, ai sensi dell’art. 2103 cod. civ., deve intendersi soltanto quello che non sia presente in azienda a causa di una delle ipotesi di sospensione legale o convenzionale del rapporto di lavoro, e non anche quello destinato, per scelta organizzativa del datore di lavoro, a lavorare fuori dell’azienda o in altra unità o altro reparto, o, ancora, inviato a partecipare ad un corso di formazione”. In tema di riparto dell’onere della prova la giurisprudenza è divisa nel senso che secondo un primo indirizzo grava sul lavoratore, che richieda l’applicazione dell’art. 2103 cod. civ., l’onere di provare che il lavoratore sostituito non aveva diritto alla conservazione del posto. Altro orientamento ritiene invece che spetta al datore di lavoro la dimostrazione che il lavoratore sostituito aveva diritto alla conservazione del posto, in ragione della finalità di non rendere troppo difficile l’esercizio del diritto del lavoratore.

d) Mansioni superiori e lasso temporale

Infine, l’espletamento dei compiti superiori deve avvenire per un periodo temporale contrattualmente definito e che comunque non può essere superiore a tre mesi: si tratta di un accertamento non sempre agevole, perché non è inusuale da parte del datore di lavoro assegnare al lavoratore mansioni superiori per periodo frazionati, ciascuno di durata inferiore a quelle pattuita dal contratto o di tre mesi.

La giurisprudenza considera in frode alla legge l’adibizione reiterata del lavoratore a mansioni superiori per periodo inferiori a tre mesi: in tal caso viene applicata la regola della sommatoria. Emblematica la statuizione per cui “il compimento del periodo - fissato dalla disciplina collettiva e comunque non superiore a tre mesi - di assegnazione a mansioni superiori, cui consegue, ai sensi dell’art. 2103 c.c., nel testo di cui all’art. 13 della legge 20 maggio 1970, n. 300, il diritto del lavoratore alla cosiddetta promozione automatica, può risultare anche dal cumulo di vari periodi, quando le prestazioni di mansioni superiori abbiano assunto - indipendentemente da un intento fraudolento dell’imprenditore diretto ad impedire la maturazione del diritto alla promozione - carattere di frequenza e di sistematicità, desumibile dal numero di assegnazioni e dal tempo intercorso fra un’assegnazione e l’altra”.

La questione si è posta in particolar modo nel caso in cui il datore di lavoro, nelle more dell’espletamento di una procedura volta a colmare le lacune di organico, abbia reiteratamente assegnato al lavoratore di rango inferiore mansioni professionalmente superiori. Al riguardo le SS.UU. hanno stabilito che la reiterata assegnazione di un lavoratore subordinato a mansioni superiori, per periodi non superiori, singolarmente considerati, a quello previsto dall’art. 2103, cod. civ., può rivelare l’intento del datore di lavoro di eludere detta disposizione, che va però esclusa qualora quest’ultimo provi che in tal modo egli ha inteso soddisfare l’esigenza di coprire tempestivamente e temporaneamente un posto che, in forza di clausola contrattuale, doveva essere attribuito all’esito dello svolgimento di una procedura concorsuale. Infatti a detta degli ermellini “l’ottemperanza all’obbligo contrattuale costituisce una reale esigenza di organizzazione della produzione, ed escluderebbe, in assenza di elementi diversificatori della fattispecie, che il fine del comportamento sia rivolto ad eludere la legge ed a locupletare la maggiore professionalità del lavoratore incaricato di svolgere quelle mansioni”.

Così ricostruiti i termini civilistici della fattispecie, si possono analizzare le conseguenze sul piano ispettivo rispetto al caso che occupa, applicando i medesimi criteri elaborati per l’ipotesi di demansionamento.

Il caso concreto

Beta, in seguito a riorganizzazione aziendale, ha affidato a Tizio, precedentemente occupato in magazzino, il compito di responsabile del controllo della qualità della merce in conto acquisti e vendite. Dopo circa cinque mesi Gamma ha assunto un altro dipendente per il controllo qualità e ha ordinato a Tizio di tornare al precedente incarico di magazziniere. Tizio si è opposto e ha intimato a Beta di corrispondergli le differenze retributive per il periodo in cui ha svolto le mansioni superiori e di riconoscergli il relativo inquadramento.

I fatti sono riconducibili alla fattispecie di cui all’art 2103 sotto tutti i profili sopra esaminati, perché in primo luogo le mansioni relative al controllo della qualità della merce risultano di rango superiore a quelle che caratterizzano la categoria di magazziniere. Tali mansioni sono state svolte da Tizio in maniera effettiva e piena, cioè hanno assorbito, per un periodo superiore a tre mesi, le energie lavorative di Tizio, il quale ha occupato tale posizione non in sostituzione di altro dipendente con diritto alla conservazione del posto, ma per colmare una lacuna nell’organico aziendale causata dal processo di riorganizzazione. Tant’è che Tizio è stato riassegnato alle mansioni di magazziniere proprio nell’occasione in cui Gamma ha assunto un nuovo dipendente per l’espletamento del controllo di qualità della merce.

Ove il personale ispettivo, all’esito di una verifica, accertati i fatti come sopra descritti rilevi che a Tizio non è stata conseguentemente assegnata la qualifica superiore né il relativo trattamento retributivo potrà adottare rispettivamente atto di disposizione e atto di diffida accertativa ex art. 14 e 12 D.lgs. n. 124/04. Infatti il primo provvedimento verrebbe impartito al fine di obbligare contrattualmente il datore di lavoro a disporre la promozione del dipendente. Il secondo invece potrà avere a oggetto le differenze retributive che sono state stato maturato da Tizio nel periodo in cui ha svolto mansioni superiori. Altro aspetto di non secondaria importanza è dato dalla segnalazione dell’accertamento all’INPS e all’INAIL, affinché questi ultimi possano eventualmente adottare i provvedimenti di recupero degli oneri contributivi e assicurativi correlati a un inquadramento contrattuale di rango superiore. Ciò in applicazione del principio per cui l’autonomia del rapporto previdenziale e dell’indisponibilità dei diritti sociali fondamentali legittima comunque l’ente previdenziale a richiedere la contribuzione correlata alla retribuzione dovuta per le mansioni effettivamente svolte dal lavoratore, a prescindere dalla qualifica attribuita dal datore di lavoro. E ciò indipendentemente dal fatto che la qualifica sia stata o meno contestata dal lavoratore, atteso che, come osservato dalla giurisprudenza “[…] nell’ordinamento del lavoro, sussiste un principio di corrispondenza fra mansioni e qualifica, che conferisce al lavoratore il diritto soggettivo alla retribuzione corrispondente alle superiori mansioni esercitate, indipendentemente dalla definitiva acquisizione della relativa qualifica”. Ne consegue, a detta della S.C. che “l’art. 1 del d.l. n. 338 del 1989, conv. in legge n. 389 del 1989, sancendo che la retribuzione imponibile ai fini previdenziali non può essere inferiore all’importo della retribuzione stabilito da leggi, regolamenti e contratti collettivi, non solo rende insensibile l’obbligo contributivo rispetto all’eventuale inadempimento retributivo del datore di lavoro, ma impone altresì di prendere a base di calcolo dei contributi previdenziali la retribuzione dovuta, e non quella corrisposta, di fatto, in misura inferiore”.


NOTE

i Cass. civ. Sez. lavoro, 27-09-2010, n. 20272; Cass. civ. Sez. lavoro, 31-12-2009, n. 28284; Trib. Bari Sez. lavoro, 29/04/2013; Trib. Genova Sez. lavoro, 17/10/2013; Trib. Pescara Sez. lavoro, 28/04/2013.

ii Cass. civ. Sez. lavoro, 10-07-2009, n. 16200; Cass. civ. Sez. lavoro, 14/08/2001, n. 11125; Trib. Bari Sez. lavoro, 25/11/2013; App. Potenza Sez. lavoro, 06/12/2013; Trib. Napoli Sez. lavoro, 05/11/2012; App. Potenza Sez. lavoro, 17/06/2010; Trib. Taranto Sez. lavoro, 22/03/2010; Trib. Cassino, 14/01/2010.

iii Cass. civ. Sez. lavoro, 01-02-2010, n. 2280; Cass. civ. Sez. lavoro, 15-11-2006, n. 24348 Cass. civ. Sez. lavoro, 28-09-2006, n. 21021.

iv Cass. civ. Sez. lavoro, 15/05/2013, n. 11717.

v Cass. civ. Sez. lavoro, 01/07/2009, n. 15406.

vi Tale periodo ai sensi dell’art. 6 della legge n. 190 del 1985, può essere elevato dai contratti collettivi con riferimento alla categoria dei quadri e dei dirigenti.

vii Cass. civ. Sez. lavoro, 25-03-2004, n. 6018.

viii Cass. civ. Sez. Unite, 28/01/1995, n. 1023; Cass. civ. Sez. lavoro, 15/03/2003, n. 3828; il principio è stato recentemente ribadito cfr. Cass. civ. Sez. lavoro, 08/06/2011, n. 12460.

ix Cass. civ. Sez. lavoro, 17/04/2012, n. 6001.

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