Lo studio paga sempre l’Irap

Pubblicato il 17 giugno 2008

La giurisprudenza, oscillante nella materia Irap per il fatto che presenta un quadro molto sfumato nei contorni, fornisce comunque alle Entrate – sentenza 156/01 della Consulta e sentenza 3678/07 della Cassazione, che inducono a tracciare un binomio inscindibile tra reddito d’impresa e assoggettamento ad Irap – occasione di rimando per negare agli esercenti attività d’impresa l’esclusione dall’ambito applicativo dell’Imposta. La risoluzione 45/E non lascia cioè spiragli alla possibilità di sfuggirne, riproponendo quanto già sostenuto nella risoluzione n. 254 dello scorso 14 settembre. Eppure la posizione della Cassazione non pare frustrare completamente le aspirazioni dei contribuenti, siano piccoli imprenditori o associazioni professionali. Spetta alle Commissioni di merito esaminare il caso concreto, sulla base delle prove offerte dal soggetto che chiede il rimborso (sul quale incombe l’onere della prova) e decidere se la presunzione di organizzazione è superata dalla dimostrazione che il valore aggiunto prodotto è frutto del solo lavoro professionale degli associati, senza che in questo l’organizzazione abbia un ruolo più che marginale. Nel caso delle associazioni professionali, certo, più aumenta il numero degli “associati”, più è probabile che essi si dotino del “quid pluris” individuato dalla Corte come indispensabile ai fini della soggezione al tributo locale. Ma, specialmente quando l’associazione ha il solo obiettivo del riparto delle spese comuni, la scarsità dei mezzi impiegati dagli associati consente loro di dimostrare che il reddito deriva dal solo impegno professionale dei singoli.

Merita lettura il commento, nelle pagine del quotidiano di Confindustria, che della posizione agenziale fà il presidente del Consiglio nazionale di dottori commercialisti ed esperti contabili, Claudio Siciliotti.

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