Oggetto della sentenza n. 331/2018 del 10 gennaio della Suprema Corte di Cassazione è un caso di licenziamento per giustificato motivo oggettivo ritenuto illegittimo. La Corte, nell’esaminare il ricorso incidentale della società, che contestava l’illegittimità del licenziamento ritenuta dalla Corte territoriale, offre alcuni chiarimenti in merito alla complessa materia delle varie ipotesi sanzionatorie che sono state introdotte dalla Legge n. 92/2012 (cosiddetta Riforma Fornero).
Un dipendente di una società era stato licenziato per il verificarsi di un fatto oggettivo “che non aveva reso possibile la prosecuzione del rapporto di lavoro”, cosa che aveva indotto una modificazione dell’organizzazione dell’impresa a seguito di una interdittiva prefettizia, che evidenziava il pericolo di infiltrazioni mafiose nell’azienda stessa. La successiva dichiarazione di illegittimità della interdittiva, ha portato la Corte di Appello a ritenere illegittimo il licenziamento e ad accordare al lavoratore la tutela risarcitoria prevista dal comma 6 dell’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori per il caso di licenziamento “dichiarato inefficace per violazione del requisito di motivazione”.
Pertanto, il datore di lavoro è stato condannato al pagamento di una indennità tra 6 e 12 mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto.
La Corte di Cassazione non è stata dello stesso avviso, alla luce delle tutele previste dalla Legge n. 92/2012, che al nuovo articolo 18 prevede, ora, una tutela reintegratoria cosiddetta “attenuata”, ai sensi di quanto disposto dal comma 4, e al successivo comma 5 contempla, invece, una tutela meramente indennitaria.
Nella sentenza n. 331/2018, la Corte evidenzia come la linea di confine tra queste due tipologie di tutele sia molto labile, per cui “in caso di licenziamento per giustificato motivo oggettivo illegittimo” si segue quanto sancito dal comma 7 dell’articolo 18, secondo cui il giudice può applicare la disciplina del comma 4 nell’ipotesi in cui accerti la manifesta insussistenza del fatto posto a base del licenziamento per giustificato motivo oggettivo e, invece, applicare la disciplina del comma 5 nelle altre ipotesi in cui accerti che non ricorrono gli estremi del predetto motivo.
Nel caso di specie è evidente per i Supremi giudici come, non essendo in dubbio l’esistenza dell’interdittiva prefettizia al momento del licenziamento, l’illegittimità del recesso deriva dal fatto che la società non ha dimostrato le ragioni che rendevano intollerabile attendere la rimozione dell’impedimento alle normali funzioni del lavoratore, che poteva avere una durata temporale limitata, tenuto conto che l’azienda aveva ritenuto illegittimo il provvedimento e lo aveva impugnato dinanzi agli organi della giustizia amministrativa.
Pertanto la Corte esclusa “la manifesta insussistenza del fatto posto a base del licenziamento per giustificato motivo oggettivo" – nelle ipotesi come quella in esame – accertato che non ricorrono gli estremi del giustificato motivo oggettivo, dichiara che il giudice deve applicare la disciplina di cui al 5 comma, condannando il datore di lavoro al pagamento di un’indennità risarcitoria da determinarsi tra le 12 e le 24 mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto.
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