Nel licenziamento per giusta causa l’immediatezza della contestazione si configura quale elemento costitutivo del diritto di recesso del datore di lavoro.
Questo il principio affermato nella sentenza n. 15930 depositata il 24 luglio 2020, con la quale la Cassazione ha confermato l’illegittimità del licenziamento per giusta causa intimato da una s.p.a. nei confronti di una dipendente per mancata segnalazione al presidente di una società, quale addetta alla contabilizzazione degli incassi, di vistose discrepanze economiche negli anni 2012-2015 nonché nei pagamenti delle fatture stesse.
I giudici di legittimità ricordano che il principio dell’immediatezza della contestazione disciplinare, la cui ratio riflette l’esigenza dell’osservanza della regola della buona fede e della correttezza nell’attuazione del rapporto di lavoro, non consente all’imprenditore-datore di lavoro di procrastinare la contestazione medesima in modo da rendere difficile la difesa del dipendente o perpetuare l’incertezza sulla sorte del rapporto, in quanto nel licenziamento per giusta causa l’immediatezza della contestazione si configura quale elemento costitutivo del diritto di recesso del datore di lavoro.
Peraltro, si legge nella sentenza, il criterio di immediatezza va inteso in senso relativo, dovendosi tener conto della specifica natura dell’illecito disciplinare nonché del tempo occorrente per l’espletamento delle indagini, tanto maggiore quanto più è complessa l’organizzazione aziendale. La relativa valutazione del giudice di merito è insindacabile in sede di legittimità se sorretta da motivazione adeguata e priva di vizi logici.
Nel caso di specie, la Suprema Corte dichiara congrua la motivazione della Corte distrettuale, avendo la stessa rimarcato, con valutazione delle acquisizioni probatorie del tutto congrua (quindi non censurabile in sede di legittimità), che l’assetto organizzativo aziendale era improntato ad una sostanziale distribuzione del potere gestionale e delle connesse responsabilità e che il presidente della società aveva comunque avuto contezza delle discrepanze economiche già dal 7 ottobre 2015, mentre la contestazione risaliva ad agosto 2016. Tardiva doveva pertanto ritenersi la contestazione essendo intercorso un periodo di circa 10 mesi.
Viene quindi rigettato il ricorso avverso la sentenza della Corte di appello di Palermo che, dopo aver ritenuto fondati i fatti oggetto della contestazione, aveva accordato la tutela indennitaria forte ex art. 18, comma 5°, L. 300/1970.
Sebbene non ricorra la fattispecie della giusta causa o del giustificato motivo di licenziamento - perché dagli elementi probatori è dato di escludere l’idoneità della condotta a ledere in maniera irreversibile il vincolo fiduciario sotteso al rapporto di lavoro - va riconosciuta la tutela risarcitoria se la condotta in addebito, come nel caso di specie, non coincide con alcuna delle fattispecie per le quali i contratti collettivi ovvero i codici disciplinari applicabili prevedono una sanzione conservativa.
Questo il principio affermato dalla giurisprudenza della Cassazione nella vigenza della legge n. 92/2012 (c.d. legge Fornero) che, prosegue la Corte, ha introdotto una graduazione delle ipotesi di illegittimità del licenziamento per motivi disciplinari, limitando la tutela reintegratoria alle ipotesi di coincidenza della condotta addebitata con quella tipizzata dalle parti sociali.
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