La Corte europea dei diritti dell'uomo, con sentenza pronunciata il 2 giugno 2015, causa Hlynsdottir contro Islanda, ha accolto il ricorso promosso da una giornalista islandese che era stata condannata per diffamazione a seguito della pubblicazione di un articolo relativo al procedimento penale in corso nei confronti di un uomo accusato di traffico di droga, poi assolto.
In particolare, è stata riscontrata, in capo alla Repubblica islandese, l'integrazione di una violazione dell'articolo 10 della Convenzione dei diritti dell'uomo sulla libertà di espressione.
Nell'articolo incriminato, la giornalista aveva riportato dei passi dell'atto di accusa senza, tuttavia, fare esplicito riferimento a tale documento.
Secondo la Corte, non era dimostrato che la ricorrente avesse agito in mala fede o comunque in modo incoerente rispetto alla diligenza richiesta ad un giornalista di fronte ad una segnalazione concernente una questione di interesse pubblico.
Nel dettaglio, la Corte europea ha ritenuto che la decisione di condanna in capo alla giornalista costituisse una "ingerenza di un'autorità pubblica" con il diritto della ricorrente alla libertà di espressione, per come garantito nel primo comma dell'articolo 10 citato.
E nel caso di specie, i motivi invocati dallo Stato convenuto, anche se rilevanti, non erano sufficienti a dimostrare che l'ingerenza denunciata fosse "necessaria”, non essendovi alcun ragionevole rapporto di proporzionalità tra il diritto della ricorrente alla libertà di espressione e gli obiettivi legittimi perseguiti.
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