Lavora durante la malattia. Licenziamento illegittimo

Pubblicato il 22 giugno 2020

Il dipendente assente per malattia che presta attività esterna, a titolo gratuito od oneroso, non può essere licenziato se dal quadro probatorio non risulti accertata la simulazione della malattia o il pregiudizio alla tempestiva ripresa dell’attività lavorativa. È quanto ha stabilito la Corte di Cassazione, Sezione Lavoro Civile, con la sentenza del 17 giugno 2020, n. 11702, mediante la quale ha rigettato il ricorso e confermato quanto già deciso dalla Corte di appello di Napoli.

La pronuncia in esame ha avuto origine dal fatto che la Corte di appello di Napoli con sentenza n. 4731/2018, in parziale riforma della sentenza di primo grado, aveva dichiarato la illegittimità del licenziamento intimato da una s.r.l. a socio unico ad un proprio dipendente, al quale era stato contestato di aver posto in essere comportamenti tali da attestare, in relazione ad un dato periodo, la simulazione del proprio stato di malattia o quanto meno da risultare potenzialmente idonei a ritardare la guarigione; la recidiva nel biennio per condotte sanzionate con la sospensione dal lavoro e dalla retribuzione e la collaborazione più o meno attivamente ad attività commerciale formalmente intestata alla moglie.

La Corte territoriale, dopo aver osservato che le risultanze istruttorie non confermavano quanto addebitato al lavoratore, aveva escluso che configurasse violazione degli obblighi di buona fede e correttezza contrattuale la circostanza che il dipendente avesse collaborato all’attività commerciale durante la malattia, attesa la genericità del riferimento alla stessa nell’ambito della contestazione disciplinare. Pertanto non veniva dimostrata la volontà di insubordinazione tale da compromettere il vincolo fiduciario con il datore di lavoro.

La Corte di merito dichiarava la illegittimità del licenziamento e ordinava la reintegra nel posto di lavoro condannando la società datrice di lavoro al pagamento di sei mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto oltre al versamento delle contribuzioni dovute dal giorno del licenziamento a quello di effettiva reintegrazione.

La condanna diviene definitiva in Cassazione con il rigetto del ricorso presentato dal datore di lavoro che depositava memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c..

Insussistenza del fatto se non presenta profili di illiceità

Dinanzi al ricorso, gli Ermellini, evocando principi già affermati dalla giurisprudenza di legittimità, rilevano che è riconosciuto rilievo disciplinare al comportamento del dipendente che presta attività esterna durante il periodo di assenza per malattia nell’ipotesi di simulazione della malattia e nell’ipotesi in cui la ripresa lavorativa del lavoratore ammalato sia anche solo messa in pericolo dal comportamento imprudente dello stesso da valutarsi con giudizio ex ante.

Tuttavia tali principi, prosegue la Corte, non risultano applicabili al caso di specie poiché, alla stregua della ricostruzione del giudice di merito, non incrinata da censure articolate dalla ricorrente, è da escludere il verificarsi del presupposto fattuale condizionante la applicabilità degli stessi. E la circostanza consente di escludere anche la recidiva.

Il licenziamento deve, quindi, ritenersi illegittimo e l’applicabilità della tutela reintegratoria, ex art. 18, comma 4, legge 300/1970, consegue all’accertamento dell’“insussistenza del fatto” che ricorre non solo quando la condotta contestata non si sia realizzata sul piano fenomenico, ma anche nel caso in cui sia accertato il verificarsi del caso materiale contestato ma lo stesso – come nel caso di specie – non presenti profili di illiceità sia in relazione alla simulazione, sia in relazione al potenziale pregiudizio allo stesso connesso in ordine alla tempestiva ripresa dell’attività lavorativa.

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