L’Adc denuncia l’inversione dell’onere della prova

Pubblicato il 23 luglio 2009

L’Associazione italiana Dottori Commercialisti ha istituito nel giugno 2007 la “Commissione per l’esame della compatibilità comunitaria delle norme e prassi tributarie italiane”. Scopo della Commissione è quello di esaminare eventuali situazioni di conflitto tra le disposizioni di legge e di prassi nazionali con i precetti comunitari in campo fiscale, dotati del requisito di prevalenza rispetto alle norme nazionali che sono quindi disapplicabili anche dal Giudice nazionale su istanza del singolo contribuente.

Nella denuncia n. 6 del giugno 2009 - titolata “Fiscalità diretta, illegittimità comunitaria della presunta residenza fiscale in Italia di società ed enti aventi la sede in altro stato comunitario come prevista dall’articolo 73 del Dpr n. 917/1986” – l’Adc ha presentato alla Commissione europea una denuncia di infrazione del Trattato Ce, in relazione alla presunzione di residenza in Italia delle società estere che controllano direttamente una società italiana e sono controllate direttamente o indirettamente da soggetti residenti in Italia o il cui organo amministrativo è costituito in prevalenza da soggetti residenti (art. 73, commi 5-bis e seguenti del Tuir).

Secondo la normativa italiana è ammessa, poi, la prova contraria, in base alla quale si considerano residenti nel territorio dello Stato le società o gli enti il cui patrimonio risulta investito in misura prevalente in quote di fondi di investimento immobiliari chiusi e sono controllati direttamente o indirettamente, per il tramite di società fiduciarie o per interposta persona, da soggetti residenti in Italia. L’onere della prova è a carico dell’amministrazione finanziaria, anche se è ammessa l’inversione dell’onere della prova a carico delle società comunitarie, quando si verificano i presupposti di “collegamento” con il territorio italiano previsti dai commi 5-ter e 5-quater del citato articolo 73.

E’ palese, però, la discriminazione operata dalla norma domestica dato il differente trattamento riservato in fase di accertamento in situazioni perfettamente analoghe sotto il profilo degli investimenti attuati nel territorio italiano.

La denuncia mossa dall’Associazione dei dottori commercialisti mira proprio a mettere in evidenza come la norma nazionale contrasti con la prevalente normativa comunitaria, in quanto costituisce una limitazione della liberta di stabilimento e di circolazione delle persone e dei servizi.

Nelle considerazioni della Commissione vengono esaustivamente trattati i suddetti motivi di incompatibilità, con particolare attenzione anche agli aspetti procedurali dell’accertamento della residenza fiscale. Il punto centrale della disamina è se la suddetta limitazione dei principi di libertà di stabilimento possa essere giustificata dal’esigenza di contrastare l’abuso del diritto o di impedire l’evasione. Norme di contrasto di questo tipo sono ammesse, ma devono rispettare i principi di casualità, proporzionalità e certezza del diritto.

In definitiva, quindi, la Commissione di studio auspica che la Commissione Ce, nell’ambito dei suoi compiti di vigilanza e di tutela del diritto comunitario, intraprenda al più presto un’adeguata azione nei confronti dello Stato italiano ai fini di un sollecito superamento di questo conflitto normativo.

Roberta Moscioni

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