La Corte di cassazione, con la sentenza n. 12066 del 16 maggio 2017, intervenendo su un ricorso contro la sentenza di abuso dello strumento concordatario emessa dalla Corte d'Appello, ribadisce quanto espresso in precedenza nella sentenza, a sezioni unite, n. 9935 del 15 maggio 2015.
Si legge: “La domanda di concordato preventivo presentata dal debitore non per regolare la crisi d’impresa attraverso un accordo con i propri creditori, ma con il palese scopo di differire la dichiarazione di fallimento, è inammissibile in quanto integra gli estremi di un abuso del processo, che ricorre quando, con violazione dei canoni generali di correttezza e buona fede e dei principi di lealtà processuale e del giusto processo, si utilizzano strumenti processuali per perseguire finalità eccedenti o deviate rispetto a quelle per le quali l’ordinamento li ha predisposti.”.
L'impresa ha depositato il giorno prima dell'udienza una nuova modifica della già mutata proposta concordataria in pendenza del procedimento diretto alla revoca dell’ammissione al concordato preventivo, con l’intento di introdurre plurime questioni nuove atte a comportare un nuovo e adeguato scrutinio; mentre, avrebbe dovuto ovviare immediatamente, molto tempo prima, alle criticità evidenziate nelle relazioni del commissario giudiziale, per effetto delle quali il giudice delegato – in sede di adunanza dei creditori – non aveva dato corso alle operazioni di voto e, successivamente, il Tribunale aveva decretato l’inammissibilità della proposta concordataria.
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