Le disposizioni in materia di intercettazioni di conversazioni e comunicazioni valgono anche per gli enti, secondo quanto desumibile dagli artt. 34 e 35 D.Lgs. 231/2001 che prevedono per l’appunto, l’uno, la generale applicabilità, nei procedimenti relativi agli illeciti amministrativi dipendenti da reato, delle disposizioni del codice di procedura penale in quanto compatibili; l’altro, l’applicabilità all’ente delle disposizioni processuali relative all’imputato.
Ciò posto, può pacificamente affermarsi che i risultati delle intercettazioni telefoniche disposte per uno dei reati di cui all’art. 266 c.p.p., sono utilizzabili anche con riferimento ad altri reati che emergano dall’attività di captazione, ancorché per essi le intercettazioni non sarebbero state consentite, purché tra il contenuto dell’originaria notizia di reato alla base dell’autorizzazione e quello dei reati per cui si procede separatamente, vi sia una stretta connessione sotto il profilo oggettivo, probatorio e finalistico, così che il relativo procedimento possa ritenersi non diverso rispetto al primo.
Alla luce di tali premesse, sembra dunque ragionevole concludere che i risultati desumibili dalle intercettazioni di conversazioni o comunicazioni ordinate per il reato presupposto, siano comunque utilizzabili anche per accertare la responsabilità dell’ente. E ciò, anche se il procedimento relativo a quest’ultimo sia stato formalmente separato per vicende successive.
Invero, pure a voler sottolineare che altro è il reato presupposto ed altro è l’illecito amministrativo, è innegabile l’esistenza di una stretta connessione sotto il profilo oggettivo, probatorio e finalistico tra il contenuto dell’originaria notizia di reato alla base dell’autorizzazione e quello dell’illecito amministrativo dipendente da reato. Questa conclusione, inoltre, non appare suscettibile di differenziazione per il fatto che si proceda separatamente per il reato presupposto e per l’illecito amministrativo conseguente, posto che la “scissione” non è di certo determinata dalla eterogeneità delle ipotesi di illecito.
E’ tutto quanto si legge nella sentenza n. 41768 resa dalla Corte di Cassazione, sesta sezione penale, il 13 settembre 2017.
Nel medesimo provvedimento, inoltre, la Corte Suprema richiama entrambe le società al centro della vicenda, per non essersi dotate del modello organizzativo e di gestione richiesto dal D.Lgs. n. 231/2001, concludendo che a tale categoria non può ricondursi l’adottato modello aziendale ISO UNI EN ISO 9001 (né il modello c.d. “Deloitte”), in quanto non contente l’individuazione degli illeciti da prevenire unitamente alla specificazione del sistema sanzionatorio per la violazione del modello.
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