La Corte di Cassazione, seconda sezione penale, ha confermato la condanna per riciclaggio di alcuni rappresentanti legali e soci di una s.r.l. e di una s.a.s. che, pur senza aver partecipato al reato di sottrazione ed illecita commercializzazione di idrocarburi commesso dai loro congiunti, ne avevano tuttavia utilizzato i ricavi nelle attività economiche svolte dalle società ad essi riconducibili, facendo temporaneamente transitare le relative somme nella contabilità sociale.
L’elemento soggettivo del reato – contestato dagli imputati ricorrenti - qui inteso come rappresentazione dell’eventualità della provenienza delittuosa del denaro, si è ritenuto comprovato da una serie di circostanze (ad esempio, nessuno degli indagati aveva saputo giustificare la provenienza dei finanziamenti; lo stretto legame di parentela/affinità tra i soci e gli autori degli illeciti). Tutti elementi, secondo ragionamento di merito insindacabile, che dimostrano come gli imputati si fossero rappresentati la concreta possibilità di provenienza delittuosa del denaro ricevuto ed investito, con piena accettazione del rischio, dunque, di compiere operazioni di riciclaggio.
Il tutto in coerenza – conclude la Corte con sentenza n. 11491 del 9 marzo 2017 – con gli ultimi orientamenti giurisprudenziali secondo cui, nel reato di riciclaggio, il dolo si può configurare anche quale dolo eventuale. Oltretutto la lontananza della condotta tenuta da quella viceversa doverosa e la ripetizione dell’azione (evenienze ravvisate nel caso di specie) ben possono costituire elementi indicatori di dolo eventuale.
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