Il contratto a tempo determinato, come ridisegnato dal D.Lgs. n. 81/2015, vede una rinnovata importanza delle contrattazione collettiva di qualsiasi livello e soprattutto maggiore libertà per il datore di lavoro.
Infatti laddove il Legislatore rinvia a “contratti collettivi” si deve tener presente che si intendono i CCNL ed i contratti territoriali o aziendali stipulati da associazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale, nonché i contratti collettivi aziendali stipulati dalle loro rappresentanze sindacali aziendali, ovvero dalla rappresentanza sindacale unitaria.
Nonostante la durata massima dei contratti a tempo determinato, intercorsi fra lo stesso lavoratore e lo stesso datore di lavoro, è confermata in 36 mesi, ciò che va conteggiato ai fini del raggiungimento del suddetto tetto sono:
i contratti conclusi per lo svolgimento di mansioni di pari livello e categoria legale e non più qualsiasi mansione;
i periodi di missione aventi ad oggetto mansioni di pari livello e categoria legale, svolti tra i medesimi soggetti, nell'ambito di somministrazioni di lavoro a tempo determinato.
La sanzione per il superamento del limite dei trentasei mesi è la trasformazione del contratto a tempo indeterminato dalla data del superamento.
Ad ogni modo, nonostante sia una procedura poco utilizzata, si sottolinea che può essere stipulato, presso la DTL, un ulteriore contratto a tempo determinato fra gli stessi soggetti, della durata massima di 12 mesi.
Tuttavia, occorre tener presente che, qualora non si rispetti la suddetta procedura (stipula c/o la DTL) o si superi il termine stabilito nel medesimo contratto, lo stesso si trasforma in contratto a tempo indeterminato dalla data della stipulazione.
La nuova disciplina conferma anche i vecchi casi in cui sussiste il divieto di instaurare contratti a termine.
Tuttavia si segnala la rilevate scomparsa della possibilità, per la contrattazione collettiva, di derogare al divieto di assumere, con contratto a termine, personale in unità produttive nelle quali si sia proceduto, entro i sei mesi precedenti, a licenziamenti collettivi che abbiano riguardato lavoratori adibiti alle stesse mansioni.
La violazione dei divieti comporta la trasformazione del contratto a tempo indeterminato.
Il termine del contratto a tempo determinato può essere prorogato, con il consenso del lavoratore, solo nel caso in cui la durata iniziale del contratto sia inferiore a 36 mesi, e, comunque, per un massimo di 5 volte nell'arco di trentasei mesi a prescindere dal numero dei contratti.
In merito è da notare che non esiste più la condizione che le proroghe si riferiscano alla stessa attività lavorativa per la quale il contratto sia stato stipulato a tempo determinato.
Anche in questo caso, la sanzione per il superamento del numero delle proroghe ammesse è la trasformazione del contratto a tempo indeterminato dalla data di decorrenza della sesta proroga.
Per quanto concerne i rinnovi (ovvero la successione dei contratti a termine), nel caso in cui il lavoratore sia riassunto a termine entro 10 dieci giorni dalla data di scadenza di un contratto di durata fino a sei mesi, ovvero 20 giorni dalla data di scadenza di un contratto di durata superiore a 6 mesi, il secondo contratto si trasforma in contratto a tempo indeterminato.
La suddetta previsione non si applica alle attività stagionali individuate con decreto del Ministero del Lavoro e nelle ipotesi individuate dai contratti collettivi.
Fino all'adozione del suddetto decreto ministeriale si applicano le disposizioni del DPR n. 1525/1963.
I limiti in questione non si applicano alle imprese start-up innovative per il periodo di 4 anni dalla costituzione della società, ovvero per il più limitato periodo previsto dal comma 3 dell’articolo 25 della Legge n. 221/2012, per le società già costituite.
Fermi i limiti di durata massima, se il rapporto di lavoro continua dopo la scadenza del termine inizialmente fissato o successivamente prorogato, il datore di lavoro è tenuto a corrispondere al lavoratore una maggiorazione della retribuzione, per ogni giorno di continuazione del rapporto, pari al 20% fino al decimo giorno successivo e al 40% per ciascun giorno ulteriore.
Qualora il rapporto di lavoro continui oltre il 30° giorno in caso di contratto di durata inferiore a 6 mesi, ovvero oltre il 50° giorno negli altri casi, il contratto si trasforma in contratto a tempo indeterminato dalla scadenza dei predetti termini.
La norma lascia la possibilità alla contrattazione collettiva di intervenire sul limite quantitativo dei contratti a tempo determinato stipulabili dai datori di lavoro.
Salvo diversa disposizione dei contratti collettivi, non possono essere assunti lavoratori a tempo determinato in misura superiore al 20% del numero dei lavoratori a tempo indeterminato in forza al 1° gennaio dell'anno di assunzione, con un arrotondamento del decimale all'unità superiore qualora esso sia eguale o superiore a 0,5.
Tuttavia:
se l’attività ha inizio nel corso dell’anno, il limite si computa sul numero dei lavoratori a tempo indeterminato in forza al momento dell'assunzione;
i datori di lavoro che occupano fino a 5 dipendenti possono sempre stipulare un contratto di lavoro a tempo determinato.
La norma prevede, inoltre, una serie di casistiche esenti dal limite legale o contrattuale di stipula di contratti a tempo determinato.
Meritevole di particolare attenzione è la specifica fatta dal Legislatore per cui, in caso di violazione del limite percentuale, è esclusa la trasformazione dei contratti interessati in contratti a tempo indeterminato.
Per la suddetta violazione sono, quindi, applicabili, per ciascun lavoratore, solo le seguenti sanzioni amministrative:
20% della retribuzione, per ciascun mese o frazione di mese superiore a 15 giorni di durata del rapporto di lavoro, se il numero dei lavoratori assunti in violazione del limite percentuale non sia superiore a uno;
50% della retribuzione, per ciascun mese o frazione di mese superiore a 15 giorni di durata del rapporto di lavoro, se il numero dei lavoratori assunti in violazione del limite percentuale sia superiore a uno.
Anche per il diritto di precedenza prevalgono le disposizioni dei contratti collettivi.
Tuttavia, salve le diverse disposizioni della contrattazione collettiva, viene riconosciuto un diritto di precedenza nelle assunzioni a tempo indeterminato effettuate dal datore di lavoro entro i successivi 12 mesi, al lavoratore che, in forza di 1 o più contratti a termine, abbia lavorato per più di 6 mesi.
Il diritto di precedenza può, però, essere reclamato solo per le mansioni già espletate in esecuzione dei rapporti a termine.
Sono, inoltre, confermate le norme:
collegate al congedo di maternità c.d. obbligatoria, compresa quella relativa al calcolo del periodo per conseguire il diritto di precedenza (in merito occorre tener presente che va ricompreso anche il congedo anticipato per gravidanza a rischio e/o lavoro a rischio e la proroga del congedo di maternità fino a 7 mesi dopo il parto per lavoro a rischio);
sul diritto dei lavoratori assunti a termine per lo svolgimento di attività stagionali.
Per poter essere esercitato, il diritto di precedenza:
deve essere necessariamente richiamato nel contratto di assunzione;
il lavoratore deve esprimere per iscritto la propria volontà in tal senso al datore di lavoro entro 6 mesi dalla data di cessazione del rapporto di lavoro o entro 3 mesi in caso di contratto stagionale.
Il diritto di precedenza si estingue una volta trascorso un anno dalla data di cessazione del rapporto.
Come chiarito dalla Fondazione Studi dei Consulenti del Lavoro con circolare n. 14 del 14 luglio 2015, il termine di 6 mesi (o 3 mesi) ha natura decadenziale, mentre il secondo termine di un anno ha natura prescrizionale.
Salvo che sia diversamente disposto, ai fini dell'applicazione di qualsiasi disciplina di fonte legale o contrattuale per la quale sia rilevante il computo dei dipendenti del datore di lavoro, si tiene conto del numero medio mensile di lavoratori a tempo determinato, compresi i dirigenti, impiegati negli ultimi due anni, sulla base dell'effettiva durata dei loro rapporti di lavoro.
Quadro delle norme |
DPR n. 1525/1963 Legge n. 221/2012 D.Lgs. n. 81/2015 Fondazione Studi dei Consulenti del Lavoro, circolare n. 14 del 14 luglio 2015 |
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