Il repechage deve essere motivato ed equivalente
Pubblicato il 24 maggio 2013
Il caso su cui si è pronunciata la Corte di Cassazione, con la
sentenza n. 12810 del 23 maggio 2013, riguarda un lavoratore licenziato per aver rifiutato il reimpiego offerto dall'azienda, costretta a sopprimere uno dei servizi offerti alla clientela . Al consulente era stato offerto un impiego come lavoratore autonomo, rifiutato dall'interessato. L'azienda non era riuscita a motivare il fatto di non esser riuscita ad offrire al dipendente mansioni equivalenti a quelle svolte in qualità di consulente vita, come avvenuto invece per altri dipendenti.
I giudici, nell'annullare il licenziamento, non considerano sufficienti le motivazioni addotte dal datore di lavoro, che non si ritengono assolte dal fatto di aver proposto al dipendente un'attività di natura non subordinata, ma autonoma, “esterna all'azienda e priva di qualsiasi garanzia reale in termini di flusso di lavoro e di reddito, come quella di sub-agente, specialmente se agli altri dipendenti siano state offerte ben più valide alternative”.
Nel richiamare la sentenza di Cassazione n. 777/2003, la Corte evidenzia come l'onere di riassorbire il lavoratore deve intendersi contenuto nei limiti della ragionevolezza, spettando al giudice la valutazione della compatibilità o incompatibilità delle posizioni offerte con il nuovo assetto aziendale.