La Prima sezione penale della Cassazione, con la sentenza n. 38157 del 27 ottobre scorso, ha rigettato il ricorso presentato da un'immigrata avverso la decisione con cui era stata condannata, dal Giudice di pace di Mestre, per il reato di immigrazione clandestina.
La donna lamentava la mancanza di motivazione sull'elemento soggettivo del reato in quanto la stessa si trovava, di fatto, in una situazione tutelata dalle norme in quanto, essendo in stato di avanzata gravidanza, aveva ottenuto il permesso di soggiorno per motivi sanitari.
La Corte di legittimità ha tuttavia ritenuto irrilevante tale circostanza in quanto la donna era da tempo irregolare sul territorio italiano mentre il permesso di soggiorno era stato ottenuto solo lo stesso giorno in cui era stata denunciata; le norme sull'immigrazione – precisa la Suprema corte – puniscono, tra le altre condotte, chi si trattiene in Italia senza aver richiesto il permesso di soggiorno entro 8 giorni dall'ingresso nel Paese. In definitiva, il permesso di soggiorno per motivi sanitari non valeva ad escludere il reato già consumato.