Il minore può cambiare cognome, se ciò non lede la sua identità

Pubblicato il 19 giugno 2015

Con sentenza n. 12640 depositata il 18 giugno 2015, la Corte di Cassazione, prima sezione civile, ha parzialmente accolto il ricorso di una madre, avverso la pronuncia con cui la Corte d'Appello autorizzava il padre a riconoscere la propria figlia ed attribuiva a quest'ultima (esclusivamente) il cognome paterno.

Avverso tale statuizione, lamentava la donna, come i giudici di merito avessero disposto l'attribuzione del cognome paterno in maniera del tutto "officiosa", senza alcuna valutazione critica circa la corrispondenza o meno della scelta all'effettivo interesse della minore.

Sul punto, la Cassazione – nel respingere la censura – ha aderito alla lettura della Corte territoriale, premettendo come, salvo i casi in cui ne possa derivare un pregiudizio al minore a causa della reputazione del padre, l'assunzione del solo patronimico (escluso il cognome materno), può non essere disposta solo quando l'esclusione del cognome della madre - ormai naturalmente associato al minore nel contesto sociale in cui vive – possa risolversi in un'ingiusta privazione della sua personalità

Ma nel caso di specie – ha rilevato la Corte – non versando ancora la minore nella fase adolescenziale o preadolescenziale, deve ritenersi che questa non abbia ancora acquisito con il matronimico, nella trama dei suoi rapporti personali e sociali, una definitiva e formata identità.

Riconosciuto invece dalla Cassazione – che ha accolto il relativo motivo di censura- il diritto della madre al rimborso delle spese di mantenimento della figlia sostenute dal momento della nascita sino al riconoscimento del padre: E ciò, nonostante quest'ultimo avesse già in precedenza stipulato una polizza assicurativa a tal fine.

Ha infatti precisato la Suprema Corte che, nell'ipotesi in cui, al momento della nascita – come nel caso di specie – il figlio sia stato riconosciuto da uno solo dei genitori, il quale abbia assunto l'onere esclusivo del mantenimento anche per l'altro genitore, questo ha il diritto di regresso nei confronti dell'altro per la corrispondente quota (ex artt. 148 e 261 c.c., nonché, ex art. 316 bis introdotto con recente D.Lgs 154/2013).

 

 

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