E’ legittimo che il lavoratore registri i colloqui con i colleghi o i superiori sul luogo di lavoro per tutelare la propria posizione all'interno dell'azienda. Si può prescindere dal consenso degli interessati quando il trattamento dei dati sia necessario per far valere o difendere un diritto.
La Corte di cassazione ha definitivamente confermato l’illegittimità del licenziamento disciplinare che un’azienda aveva comminato a un proprio dipendente per aver rifiutato di partecipare a un corso obbligatorio di formazione e per aver violato il diritto alla riservatezza dei colleghi, in quanto aveva registrato una conversazione in presenza senza il loro consenso.
Con sentenza n. 31204 del 2 novembre 2021, la Suprema corte ha aderito alle argomentazioni poste alla base della decisione dei giudici di merito che, pur escludendo la discriminatorietà del licenziamento, lo avevano ritenuto illegittimo per insussistenza del fatto contestato.
In primo luogo, il rifiuto opposto dal lavoratore alla partecipazione al corso obbligatorio di formazione era stato ritenuto giustificato in considerazione di diversi elementi, quali l'esiguità del termine di preavviso (meno di due giorni), l’orario in cui si sarebbe dovuto tenere l’evento (diverso da quello ordinario), la località di svolgimento del corso (a oltre cento chilometri dal luogo abituale di prestazione dell'attività lavorativa).
Il tutto nonostante la prassi aziendale di concedere un congruo preavviso ai lavoratori nel convocarli per partecipare ai corsi di formazione, prassi che nel caso di specie non era stata rispettata.
Secondo gli Ermellini, l'accertamento del giudice del merito era stato congruamente argomentato ed era pertanto insindacabile in sede di legittimità.
Rispetto al secondo addebito, la Corte d’appello aveva ritenuto che la registrazione della conversazione in presenza con il superiore gerarchico fosse consentita, in quanto finalizzata alla tutela giurisdizionale dei diritti del lavoratore, a fronte di una verosimile contestazione disciplinare per il suo rifiuto di partecipazione al suddetto corso obbligatorio.
Assunto a cui ha aderito anche il Collegio di legittimità, dopo aver richiamato quanto già affermato dalla giurisprudenza in materia.
La registrazione di conversazioni tra presenti all'insaputa dei conversanti – ha sottolineato la Corte - configura una grave violazione del diritto alla riservatezza che può legittimare la sanzione disciplinare del licenziamento.
Tuttavia, l'art. 24 del Codice in materia di protezione dei dati personali, permette di prescindere dal consenso dell'interessato quando il trattamento dei dati sia necessario per far valere o difendere un diritto, a condizione che essi siano trattati esclusivamente per tali finalità e per il periodo strettamente necessario al loro perseguimento.
Ne discende che l'utilizzo, a fini difensivi, di registrazioni di colloqui tra il dipendente e i colleghi sul luogo di lavoro non necessita del consenso dei presenti, in ragione dell'imprescindibile necessità di bilanciare le contrapposte istanze della riservatezza, da una parte, e della tutela giurisdizionale del diritto, dall'altra, e pertanto di contemperare la norma sul consenso al trattamento dei dati con le formalità previste dal codice di procedura civile per la tutela dei diritti in giudizio.
Da qui l'affermazione della legittimità della condotta del lavoratore che abbia effettuato tali registrazioni per tutelare la propria posizione all'interno dell'azienda e per precostituirsi un mezzo di prova, rispondendo la stessa alle necessità conseguenti al legittimo esercizio di un diritto.
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