Il datore di lavoro non viola la privacy se divulga documenti personali a difesa dell’integrità morale

Pubblicato il 20 luglio 2009

Secondo la Corte di Cassazione – sentenza n. 15327/2009 – non viola le norme sulla privacy l'imprenditore che mette a disposizione di terzi documenti scritti a mano da un dipendente al fine di rendere possibile una perizia grafica per accertare l'autore di lettere ingiuriose anonime inviate ad alcuni colleghi.

Il fatto riguarda la presenza di lettere anonime ingiuriose nei confronti di alcuni colleghi, a causa delle quali l’imprenditore mette a disposizione dei lavoratori documenti scritti a mano da un dipendente al fine di rendere possibile una perizia grafica comparativa. L’autore delle missive non può lamentarsi della messa a disposizione dei suoi scritti né può richiedere un risarcimento dei danni per mancato rispetto delle regole sulla tutela dei dati personali.

Per i Supremi giudici l'interesse alla riservatezza tutelato dall'ordinamento recede quando quest'ultimo è esercitato per la difesa di un interesse giuridicamente rilevante e nei limiti in cui esso sia necessario alla tutela. Dunque, è legittimo che il datore di lavoro adotti tutte le misure necessarie per tutelare l’integrità morale dei propri dipendenti e di conseguenza non è perseguibile se lo stesso realizza trattamento di dati personali senza consenso, come nel caso in esame. Nella fattispecie, infatti, il nulla osta dell’interessato non era necessario, dal momento che la stessa legge n. 675/1996 non configurando uno statuto generale della persona, non si applica a ogni situazione soggettiva, ma soltanto a quelle relative al fenomeno del trattamento dei dati personali, precludendo l'accesso solo ai dati sensibili della persona. Di conseguenza, secondo la Corte, la divulgazione di dati relativi ad un soggetto non necessariamente realizza sempre una violazione della legge, soprattutto nel caso in cui si deve procedere a un giudizio di comparazione degli interessi in gioco.

Roberta Moscioni

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