Gamma avvia correttamente la procedura per collocare i propri dipendenti in CIGS inoltrando alle organizzazioni sindacali l’informativa di cui all’art. 1 comma 7 della L. n. 223/91. La fase della consultazione sindacale si chiude senza che venga raggiunto alcun accordo in ordine all’individuazione dei criteri rotativi. Questi ultimi vengono così stabiliti unilateralmente dal datore di lavoro. I lavoratori, non soddisfatti delle scelte datoriali, si rivolgono alla DTL competente, alla quale chiedono di esercitare un sindacato sulle modalità mediante le quali il datore di lavoro procede alla sospensione dei rapporti di lavoro. È ammissibile il sindacato degli ispettori? Ed eventualmente quali contenuti può assumere l’accertamento?
Premessa
L’importanza della fase della consultazione sindacale nel procedimento della CIGS viene in risalto non solo per le regole che governano il contradditorio e che sono state illustrate nella precedente esposizione, ma anche per l’esito con cui si conclude il dialogo tra le parti. Il contenuto dell’accordo deve infatti indicare i criteri mediante i quali vengono individuati i dipendenti da collocare in CIGS e le modalità di ripartizione tra costoro del sacrificio della sospensione dei rapporti di lavoro. Si pone così, anche da parte del personale ispettivo, il problema di verificare se l’impresa osservi o meno i criteri rotativi concordati in sede di esame congiunto ovvero nelle ipotesi stabilite nel decreto di concessione della CIGS.
L’accordo sui criteri rotativi
Con l’adempimento dell’onere informativo di cui all’art. 1, commi 7 e 8, della L. n. 223 cit., l’impresa avvia il contraddittorio con le organizzazioni sindacali per la determinazione dei criteri di gestione del procedimento CIGS. Come illustrato, l’onere deve essere assolto in maniera puntuale, nel senso che l’informativa deve contenere tutte le informazioni atte a consentire alle parti sociali di esercitare un controllo sull’esercizio del potere datoriale volto alla sospensione dei rapporti di lavoro relativi ai lavoratori, che svolgono le medesime mansioni e operano nella stessa unità produttiva. Di conseguenza, anche il contenuto dell’accordo deve essere sufficientemente esaustivo e chiaro in merito all’applicazione dei criteri di rotazione ovvero alla scelta delle misure alternative alla rotazione. Secondo la giurisprudenza, una volta che sia stato emanato il decreto, salvo l’ipotesi di cui all’art. 1 comma 8 della L. n. 223 cit., non è più possibile mutare i criteri di scelta del personale da collocare in CIGS, con la conseguenza che ove sorga tale esigenza l’impresa è tenuta a riattivare nuovamente la procedura di consultazione sindacale.
I criteri di rotazione
Anzitutto va osservato che le regole per la determinazione dei lavoratori da collocare in CIGS sono differenti rispetto a quanto previsto per la procedura di mobilità.
I criteri previsti per la procedura di mobilità
L’art. 5 comma 1 della L. n. 223 cit. dispone che in materia di mobilità la selezione dei lavoratori da licenziare deve avvenire sulla base dei criteri di scelta contrattualmente stabiliti nell’accordo sindacale o, in mancanza di quest’ultimo, in base ai criteri, da applicare in via concorsuale, previsti dal medesimo articolo e cioè:
carichi di famiglia;
anzianità;
esigenze tecnico-produttive ed organizzative.
La scelta dei lavoratori da sospendere nella CIGS
Nell’ambito dell’intervento di CIGS i criteri con cui determinare la sospensione dei rapporti sono appannaggio del datore di lavoro, il quale è tenuto a esercitare la scelta mediante un esame congiunto con le organizzazioni sindacali.
La legge tuttavia non contempla criteri sussidiari da applicare in mancanza di accordo sindacale.
Sicché laddove non venga raggiunto l’accordo sindacale occorre distinguere due ipotesi.
Se l’impresa intende escludere ogni criterio di rotazione, e tale scelta viene avversata dalle organizzazioni sindacali, l’art. 1 comma 8 della L. n. 223 cit. prevede che la determinazione datoriale venga sottoposta al vaglio del Ministero del Lavoro chiamato a promuovere sul punto un accordo tra le parti. Se poi tale accordo non viene raggiunto entro tre mesi dalla data del decreto di concessione della CIGS, è il Ministero stesso che, con proprio decreto, determina l’adozione di meccanismi di rotazione, sulla base delle specifiche proposte formulate dalle parti.
Diversa invece è l’ipotesi in cui la mancata convergenza tra impresa e organizzazioni sindacali riguardi il contenuto dei criteri di rotazione. L’assunto che demanda al Ministero il compito di supplire, con proprio decreto, alla mancanza dell’accordo non è convincente. Tale evenienza è contemplata solo laddove l’impresa decida di non procedere a rotazione alcuna. Si tratta di fattispecie speciale e pertanto non suscettibile di interpretazione estensiva.
Secondo l’orientamento espresso dalla Suprema Corte, la scelta dei lavoratori da sospendere in ipotesi di CIGS, e in mancanza di una specifica disciplina concordata con le organizzazioni sindacali, costituisce esercizio di un potere assegnato dal legislatore esclusivamente al datore di lavoro. L’assunto giurisprudenziale ritiene che tale potere sia soggetto tanto a limiti interni, con la conseguenza che deve essere esercitato con l’osservanza di “criteri oggettivi, razionali e coerenti con le finalità del trattamento di integrazione salariale”, quanto a limiti esterni, implicanti il divieto di atti discriminatori e l’osservanza dei principi di correttezza e buona fede di cui agli artt. 1175 e 1375 c.c..
A giudizio degli scriventi anche la prospettazione della S.C. non appare del tutto persuasiva.
Non convince l’idea che il potere datoriale sia permeato da limiti interni, perché questi si traducono in un inammissibile sindacato su scelte organizzative che sono appannaggio esclusivo del datore di lavoro. Il controllo sul potere datoriale concerne invece il rispetto dei limiti esterni rappresentati dal divieto di discriminazione e dai principi di buona fede e di correttezza, anche se questi ultimi vengono ricondotti da un altro orientamento della S.C. nell’ambito dei limiti interni. Univoca comunque è l’idea che la buona fede postula “un impegno di cooperazione od obbligo di solidarietà, imponendo a ciascun contraente di tenere quei comportamenti che, a prescindere da specifici obblighi contrattuali o dal dovere extracontrattuale del principio del neminem laedere, sono idonei a preservare gli interessi della controparte, senza peraltro che ciò possa rappresentare un apprezzabile sacrificio per chi li pone in essere”. Pertanto si può affermare in via di massima che il potere datoriale è senz’altro soggetto a limiti esterni, la cui applicazione consente di censurare quelle scelte con cui vengono sospesi i dipendenti per ragioni dettate da qualità personali piuttosto che in considerazione della qualifica e delle mansioni assegnate a costoro.
Le conseguenze previste per la violazione dei criteri rotativi
In base alle considerazioni sopra espresse, la giurisprudenza è ferma nel ritenere che l’inosservanza delle regole che disciplinano i criteri di rotazione comporti comunque l’illegittimità della sospensione dei rapporti di lavoro, con le relative conseguenze sul piano patrimoniale e previdenziale.
L’inadempimento dell’accordo concluso in fase di consultazione sindacale ovvero la violazione dei limiti esterni all’esercizio dei poteri del datore di lavoro impediscono al datore di lavoro di liberarsi dall’obbligo di corrispondere in favore dei dipendenti sospesi la retribuzione piena e non integrata. In giurisprudenza è invece controverso il titolo della pretesa creditoria e cioè se quest’ultima abbia natura retributiva o risarcitoria; in quest’ultima ipotesi, la quantificazione viene commisurata all’entità della retribuzione mensile.
Alla medesime conclusioni si giunge laddove l’inosservanza attiene al decreto ministeriale adottato in surroga all’accordo ai sensi dell’art. 1 comma 8 della L. n. 223 cit. con l’applicazione aggiuntiva della sanzione contributiva contemplata da quest’ultima disposizione normativa.
Si tratta, complessivamente, di conseguenze che hanno riflessi retributivi e contributivi e pertanto sottoposti al controllo del personale ispettivo, tenuto tra l’altro, a verificare le corrette registrazioni apposte nel LUL. Con tale epilogo si può passare a esaminare il caso concreto.
Il caso concreto
Gamma ha avviato correttamente la procedura per collocare i propri dipendenti in CIGS. A tale fine ha inoltrato alle organizzazioni sindacali l’informativa di cui all’art. 1, comma 7, della L. n. 223/91. La fase della consultazione sindacale si è chiusa senza che sia stato raggiunto alcun accordo in ordine all’individuazione dei criteri rotativi. Questi ultimi sono stati così stabiliti unilateralmente dal datore di lavoro.
Vale subito evidenziare la correttezza del metodo seguito, poiché in materia di CIGS, in difetto di accordo sindacale sulle modalità di sospensione dei rapporti di lavoro, la legge, diversamente dalla procedura di mobilità, non fissa alcun criterio suppletivo, lasciando a tale fine al datore di lavoro il compito di individuare le modalità di ripartizione del sacrificio tra i lavoratori interessati alla misura.
Le determinazioni del datore di lavoro tuttavia non sono esenti da limiti giacché, se per un verso non appare plausibile la prospettazione giurisprudenziale che invoca un sindacato esteso alla razionalità delle scelte aziendali, che invero sono di pertinenza esclusiva dell’imprenditore, per altro verso invece appare corretto ritenere che il principio di buona fede e senz’altro il divieto di discriminazione vincolino il contenuto delle decisioni datoriali.
Sicché la richiesta formulata dai lavoratori alla DTL e volta a verificare la determinazione dei criteri di rotazione costituisce materia che rientra nell’ambito delle competenze degli ispettori del lavoro istituzionalmente preposti a garantire l’osservanza del divieto di discriminazione che, come noto, costituisce un argine contro scelte arbitrarie e sconfinanti nell’abuso del diritto.
NOTE
i Cfr. Cass. civ. Sez. lavoro Sent., 23-05-2008, n. 13377. L’INPS, con circolare INPS n. 152 del 2003, ha ritenuto che il datore di lavoro non può variare in aumento il numero dei lavoratori collocati in CIGS rispetto a quanto stabilito all’esito della procedura.
ii Cfr. Cass. civ. Sez. Unite, 13/10/1993, n. 10112.
iii Cass. civ. Sez. lavoro Sent., 05-08-2008, n. 21138.
iv Cfr. E. Massi “La Rotazione Nella Integrazione Salariale Straordinaria” in www.dplmodena.it.
v Cfr. per tutte Cass. civ. Sez. Unite, 13/10/1993, n. 10112; in motivazione cfr. Cass. civ. Sez. Unite, 11-05-2000, n. 302 Cass. civ. Sez. lavoro, 23/12/2002, n. 18296.
vi Cfr. Cass. civ. Sez. I, 20-04-1994, n. 3775.
vii Cfr. Per tutte Cass. Sez. Un. n. 21658/2009.
viii Cass. civ. Sez. Unite, 11-05-2000, n. 302.
ix Si riferisce alla retribuzione: Cass. civ. Sez. VI Ordinanza, 12/12/2011, n. 26587; Cass. civ. Sez. lavoro, 26/09/2011, n. 19618; Cass. civ. Sez. lavoro, 04-05-2009, n. 10236; parla invece di risarcimento del danno Cass. civ. Sez. lavoro, 13/12/2010, n. 25139; Cass. civ. Sez. lavoro, 04-03-2000, n. 2468; Trib. Milano, 13/03/2003.
x Recita la norma: “L'azienda, ove non ottemperi a quanto previsto in tale decreto, è tenuta, per ogni lavoratore sospeso, a corrispondere con effetto immediato, nella misura doppia, il contributo addizionale di cui all'articolo 8, comma 1, del citato decreto-legge 21 marzo 1988, n. 86, convertito, con modificazioni, dalla legge 20 maggio 1988, n. 160. Il medesimo contributo, con effetto dal primo giorno del venticinquesimo mese successivo all'atto di concessione del trattamento di cassa integrazione, è maggiorato di una somma pari al centocinquanta per cento del suo ammontare”.
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