I confini del leveraged buyout

Pubblicato il 06 luglio 2009 Nella circolare n. 8 del 2009, l’Unione nazionale giovani dottori commercialisti ha espresso il proprio parere sui profili di maggiore interesse e sulle problematicità relativi all’operazione di merger leveraged buyout (Lbo). Nel testo si legge soddisfazione per il riconoscimento del legislatore civilistico alla liceità giuridica e alla validità economica di questo tipo di operazione. La validità dello strumento rinvia alle disposizioni introdotte - a seguito della riforma del diritto societario - dall’articolo 2501-bis del Codice civile, che fornisce agli operatori economici un quadro normativo certo su come utilizzare questo particolare mezzo di acquisizione societaria. Proprio il particolare corpus di documenti informativi richiesti dal legislatore serve, infatti, ad attestare che l’operazione è sorretta da un programma imprenditoriale concreto e da una “sostanza economica”. In precedenza, invece, gran parte della dottrina aveva più volte sottolineato il conflitto del Lbo con le norme civilistiche e, in particolare, con l’articolo 2358 C.C., che in linea generale vieta alle società per azioni di accordare prestiti, o fornire garanzie, per l’acquisto o la sottoscrizione di azioni proprie. Oltre che sul piano civilistico, l’operazione di Lbo ha però delle implicazioni significative anche su quello tributario, soprattutto per quel che concerne eventuali profili di elusività. A tal fine, dunque, risulta fondamentale valutare l’operazione attraverso il “vitality test”, utile proprio a verificare che operazioni di fusione siano messe in atto prive di motivazione economica e solo con l’intento di spendere perdite pregresse altrui. Cioè, dunque, con il solo scopo di comprimere la base imponibile, ai fini Ires, della società risultante dalla fusione. Nella circolare n. 8 è trattata in maniera ampia e soddisfacente tutta la casistica possibile.
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