L'elenco delle ipotesi di giusta causa di licenziamento contenuto nei contratti collettivi ha valore solo esemplificativo.
Esso non preclude un'autonoma valutazione del giudice di merito in ordine all'idoneità di un grave inadempimento, o di un grave comportamento del lavoratore contrario alle norme della comune etica o del comune vivere civile, a far venire meno il rapporto fiduciario tra datore di lavoro e lavoratore.
In materia disciplinare, infatti, l'apprezzamento della giusta causa di recesso rientra nell'attività sussuntiva e valutativa del giudice, tenuto a valorizzare elementi concreti, di natura oggettiva e soggettiva, della fattispecie, coerenti con la scala valoriale del contratto collettivo, oltre che con i principi radicati nella coscienza sociale, idonei a ledere irreparabilmente il vincolo fiduciario.
Il richiamato principio generale, poi, subisce eccezione nei casi in cui la previsione negoziale ricolleghi ad un determinato comportamento giuridicamente rilevante solo una sanzione conservativa.
Secondo il indirizzo consolidato della giurisprudenza, il datore di lavoro non può irrogare un licenziamento disciplinare quando questo costituisca una sanzione più grave di quella prevista dalla fonte collettiva per una determinata infrazione.
Ne discende che condotte astrattamente suscettibili di integrare una giusta causa o un giustificato motivo soggettivo di recesso ai sensi di legge non possono rientrare nel relativo novero se l'autonomia collettiva le ha espressamente escluse, prevedendo per esse sanzioni meramente conservative.
Sono i principi richiamati dalla Sezione lavoro della Corte di cassazione nel testo della sentenza n. 3927 del 13 febbraio 2024, pronunciata in rigetto del ricorso promosso da un lavoratore, con mansioni di chef di I livello, per opporsi al licenziamento disciplinare per giusta causa comminatogli dal datore di lavoro.
Al dipendente, nella specie, erano state contestate diverse irregolarità, rilevate a seguito di una ispezione igienico-sanitaria nella struttura turistica dove svolgeva le proprie mansioni.
Si trattava di gravi irregolarità riguardanti la conservazione del cibo da somministrare alla clientela.
Ebbene, secondo gli Ermellini, la Corte d'appello aveva condotto la sua valutazione in conformità ai principi di diritto sopra richiamati, ancorando la gravità della condotta e la connessa proporzionalità della sanzione espulsiva alla seguente duplice caratteristica:
Era stata anche rimarcata, dai giudici di merito, la gravità della condotta in relazione alla sua pericolosità: il legislatore, difatti, al fine di predisporre una tutela ampia ed effettiva del bene salute, ha inteso vietare, presidiando il divieto con sanzione penale, comportamenti potenzialmente idonei a mettere in pericolo la salute pubblica, come, appunto, la detenzione a fini di vendita o di somministrazione al pubblico di alimenti in cattivo stato di conservazione.
Senza contare il ruolo di responsabilità rivestito dal ricorrente nella struttura aziendale in cui operava e, quindi, il suo dovere di rigorosa osservanza delle disposizioni richiamate.
E proprio la pericolosità per la salute pubblica ed il rilievo penale delle violazioni realizzate, quali caratteristiche della condotta su cui si fondava il giudizio di gravità espresso dai giudici di appello, costituivano, nell'architettura della sentenza impugnata, la ragione che aveva portato, legittimamente, ad escludere di sussumere l'addebito nelle previsioni di illecito disciplinare cui il contratto collettivo collegava una sanzione conservativa.
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