Con sentenza n. 38161 del 17 ottobre 2024, la Corte di Cassazione, Seconda sezione penale, si è occupata di un caso di frode fiscale collegato all'abuso del "superbonus" edilizio, introdotto dal Decreto legge n. 34 del 2020.
Il procedimento giudiziario ha preso avvio a seguito della richiesta di sequestro preventivo avanzata dal pubblico ministero nei confronti di diverse società, con l'accusa di reati quali emissione di fatture false, indebita compensazione, falso e illecito reimpiego di denaro.
Inizialmente, la richiesta di sequestro era stata respinta dal giudice per le indagini preliminari.
Tuttavia, il tribunale per le misure cautelari ha accolto l'appello del pubblico ministero, disponendo il sequestro delle società al fine di prevenire la continuazione delle attività illecite.
Gli indagati hanno quindi presentato ricorso per cassazione, sostenendo che non vi fossero sufficienti prove per il sequestro e che non fosse dimostrato il "durevole asservimento" delle società ai reati contestati.
La Corte di Cassazione ha rigettato i ricorsi, motivando la propria decisione con diverse considerazioni.
In primo luogo, ha confermato che per disporre il sequestro preventivo non è necessario dimostrare un collegamento strutturale tra i beni sequestrati e i reati, ma è sufficiente che vi sia una "pertinenza" anche indiretta al reato, soprattutto quando vi è il rischio di una continuazione delle attività illecite, come nel caso di specie.
Per quanto riguarda le frodi fiscali connesse al superbonus, la Corte ha chiarito che il meccanismo fraudolento consisteva nella presentazione di fatture per lavori inesistenti, allo scopo di creare crediti fiscali illegittimi che venivano successivamente monetizzati presso istituti bancari.
Nonostante la truffa ai danni delle banche fosse improcedibile per mancanza di querela, la Corte ha confermato l'esistenza del fumus del reato di emissione di fatture false e di indebita compensazione.
Il fumus del reato di emissione di fatture per operazioni inesistenti - ha rammentato la Cassazione richiamando un precedente arresto di legittimità - si concretizza quando, sfruttando il "superbonus 110%", si monetizza un credito attraverso la cessione o lo "sconto in fattura" per lavori non ultimati o non certificati. Questo comportamento simula spese non realmente sostenute, creando così fittiziamente il diritto alla detrazione fiscale.
I crediti d'imposta ceduti ai sensi dell'art. 121 del D.l. n. 34/2020 - si legge ancora nella decisione - possono costituire il reato previsto dall'art. 10-quater, comma 2, del D.lgs. n. 74/2000 se utilizzati in compensazione dal cessionario, poiché derivano da costi non sostenuti, configurandosi così come crediti non spettanti o inesistenti.
Le spese legate ai bonus fiscali, per essere detratte, devono essere fatturate e pagate durante il periodo di validità del bonus e in relazione a lavori effettivamente eseguiti. Tuttavia, anche se il beneficio fiscale è subordinato all'effettiva realizzazione dei lavori, la falsa fatturazione per creare crediti inesistenti mantiene comunque rilevanza penale.
Nel caso in esame, la Corte ha considerato giustificato il sequestro preventivo, poiché la libera disponibilità dei beni avrebbe potuto aggravare le conseguenze dei reati o favorire la commissione di ulteriori illeciti simili.
Anche il fatto che le società fossero già soggette a misure di prevenzione non ha escluso la necessità di imporre un ulteriore vincolo cautelare, vista la natura distinta dei sequestri penali rispetto a quelli di prevenzione.
In conclusione, la Corte ha confermato la legittimità del sequestro preventivo a fini impeditivi e ha rigettato le contestazioni avanzate dagli indagati, condannandoli inoltre al pagamento delle spese processuali.
Sintesi del caso | Il caso riguarda un'accusa di frode fiscale legata all'abuso del superbonus edilizio tramite emissione di fatture false per lavori inesistenti. |
Questione dibattuta | Gli imputati contestano la legittimità del sequestro preventivo, sostenendo l'assenza di prove e il mancato asservimento delle società ai reati contestati. |
Soluzione della Corte di Cassazione | La Corte ha confermato la legittimità del sequestro preventivo, ritenendo sufficiente la pertinenza indiretta dei beni ai reati e il rischio di continuazione delle attività illecite. |
Ai sensi dell'individuazione delle modalità semplificate per l'informativa e l'acquisizione del consenso per l'uso dei dati personali - Regolamento (UE) n.2016/679 (GDPR)
Questo sito non utilizza alcun cookie di profilazione. Sono invece utilizzati cookie di terze parti legati alla presenza dei "social plugin".