Nel testo della sentenza n. 22108 del 27 maggio 2015, i giudici della Terza sezione penale di Cassazione hanno ricapitolato le ipotesi di configurabilità del reato di dichiarazione fraudolenta mediante utilizzo di fatture per operazioni inesistenti.
Secondo la Suprema corte, in particolare, la fattispecie richiamata sussiste:
- nell'ipotesi di inesistenza oggettiva dell'operazione, quando quest'ultima, ossia, non sia stata mai posta in essere nella realtà;
- nell'ipotesi di inesistenza relativa, quando, ovvero, l'operazione vi è stata, ma per quantitativi inferiori a quelli indicati in fattura;
- nell'ipotesi di sovrafatturazione “qualitativa”, quando cioè la fattura attesti la cessione di beni e/o servizi aventi un prezzo maggiore di quelli forniti.
L'oggetto della repressione penale – ha evidenziato la Corte – è ogni tipo di divergenza tra la realtà commerciale e la sua espressione documentale.
Ciò posto, i giudici di legittimità hanno anche sottolineato come il reato in questione non possa ritenersi configurabile nell'ipotesi di “non congruità” dell'operazione realmente effettuata e pagata.
Nel caso specificamente esaminato, è stata accolta, con rinvio, la doglianza del ricorrente avverso l'ordinanza del giudice del riesame secondo cui quest'ultimo non aveva fornito alcuna risposta rispetto alla questione sollevata relativamente alla effettiva inesistenza delle prestazioni oggetto delle fatture in contestazione.
Ed infatti, non era stata stata tenuta in alcun conto la circostanza che la stessa agenzia delle Entrate aveva successivamente riconosciuto l'oggettiva esistenza delle prestazioni fatturate, pur ritenendo non congrui i canoni pattuiti.
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