Fallimento. Sì al privilegio anche per i crediti dei professionisti di studi associati

Pubblicato il 12 luglio 2013 Con la sentenza n. 17207/13 depositata l’11 luglio 2013, la Corte di Cassazione ha offerto un’interpretazione estensiva delle norme sulle procedure concorsuali che disciplinano i privilegi in caso di fallimento, riconoscendo a tali disposizioni la finalità di “individuare il reale significato e la portata effettiva, anche oltre il limite apparentemente segnato dalla formulazione testuale”.

Sulla base di tale presupposto, infatti, la Corte ha rifiutato il ricorso di un curatore fallimentare milanese, che si era opposto all’ammissione al passivo dei crediti di due avvocati che facevano parte di uno studio associato, già consulente della società fallita. Nelle motivazioni del curatore si avanza la tesi che i due professionisti non si erano costituiti personalmente, ma lo avevano fatto per il tramite dello studio stesso.

Ora, la Corte compie un passo avanti, sostenendo che il giudice può ammettere al fallimento i crediti dei singoli professionisti dello studio associato, anche nel caso in cui la richiesta di ammissione al passivo sia stata avanzata dall’associazione.

Se l’intenzione del legislatore è la “causa del credito”, per la Corte non ha importanza a chi esso sia riferito, dovendosi privilegiare, invece, “a chi è imputabile”. Dunque, anche nel caso di un singolo associato – se oggetto del contratto è la sua prestazione professionale - deve essere riconosciuto il privilegio dell’ammissione al passivo al fine di consentire il riconoscimento al prestatore d’opera delle stesse tutele accordate per legge al credito del lavoratore dipendente.

Dunque, provando la “personalità” della prestazione del singolo associato, si può vincere la presunzione che esclude l’associazione professionale dall’ammissione al passivo: il giudice può, così, riconoscere i compensi del singolo professionista e ammetterli al privilegio, anche se la richiesta proviene non dalla persona ma dallo studio.
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