Con sentenza n. 36393 depositata il 9 settembre 2015, la Corte di Cassazione, terza sezione penale, ha respinto il ricorso del legale rappresentante di una s.p.a., avverso il provvedimento di conferma del sequestro, disposto nei suoi confronti in relazione al reato di cui all'art. 10 D.Lgs 74/2000.
Lamentava il ricorrente, in particolare, come l'ipotesi in questione - riguardante un eccesso di compensazione oltre i limiti posti dalla legge – facesse riferimento ad un credito inesigibile ma comunque spettante; come tale, non integrante la fattispecie penale di cui al citato art. 10, ma tutt'al più una violazione fiscale.
Nel respingere detta censura, la Cassazione ha puntualizzato come la contestata norma incriminatrice punisca la condotta di chi utilizzi in compensazione, nelle dichiarazioni di imposta, crediti "non spettanti" ovvero inesistenti, per un ammontare superiore, per ogni anno di imposta, ad euro 50.000,00. Ha per di più precisato che, mentre il concetto di credito inesistente è di facile identificazione, quello di credito "non spettante" non può essere ricondotto – come invece ritenuto dal ricorrente – alla mera non spettanza soggettiva, ovvero, alla pendenza di una condizione cui sia subordinata l'esistenza del credito medesimo.
Alla luce di ciò - ha dunque concluso la Corte - per credito tributario "non spettante" (quindi idoneo ad integrare la fattispecie di cui all'art. 10 quater D.Lgs 74/2000) va inteso quel credito che, esattamente come nel caso di specie, pur certo nella sua esistenza e nel suo ammontare, sia per qualsiasi ragione normativa, non ancora (o non più) utilizzabile in operazioni finanziarie di compensazione nei rapporti fra il contribuente e l'Erario.
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