La Cassazione, con sentenza n. 37577 depositata lo scorso 21 ottobre 2010, ha annullato, con rinvio, il provvedimento con cui il Tribunale monocratico di Treviso, dopo aver interrotto il dibattimento per l'emersione di un fatto diverso da quello contestato all'imputato, aveva negato al Pubblico ministero la facoltà di modificare il capo di imputazione in udienza disponendo la regressione del processo alla fase delle indagini preliminari.
Effettuare una nuova contestazione – spiega il Collegio – costituisce un potere esclusivo del Pubblico ministero, inerente all'esercizio dell'azione penale, la cui obbligatorietà è prescritta dalla Costituzione al suo articolo 112. Inoltre, nell'ipotesi di specie, trattandosi della contestazione di fatto diverso o di reato concorrente connesso, non era richiesto né il consenso dell'imputato né l'autorizzazione del giudice.
Per la Corte di legittimità, la decisione del giudice trevigiano che, arrogandosi un potere che nessuna norma gli riconosceva, aveva negato al Pm il compimento di un atto imperativo, insindacabile ed obbligatorio - quale è la contestazione del fatto diverso o del reato connesso -era da considerarsi al di fuori dell'ordinamento processuale così da integrare un'ipotesi di atto abnorme in senso funzionale.