Con sentenza n. 35980 depositata il 4 settembre 2015, la Corte di Cassazione, sesta sezione penale, ha respinto il ricorso di due imputati, avverso la pronuncia con cui la Corte d'Appello aveva provveduto alla rideterminazione della pena per il contestato reato di cui all'art. 73 D.p.r. 309/1990.
Lamentavano in proposito i ricorrenti, come il giudice del rinvio (a seguito del ritorno alla disciplina più favorevole in tema di droghe leggere per effetto della dichiarata incostituzionalità della Legge c.d. "Fini – Giovanardi"), avesse nella specie proceduto ad una illegittima valutazione nel merito dei fatti. Ciò, laddove – secondo la difesa – nel giudizio di rinvio, il potere di rideterminazione della pena doveva limitarsi ad una mera ricognizione aritmetica e proporzionale della pena stessa. Sicché, dovevano ritenersi illegittime tutte le considerazioni – di cui alla sentenza impugnata - in ordine al quantitativo di stupefacenti detenuti o alla pericolosità del fatto, che nella specie avevano portato all'irrogazione di una sanzione pari al minimo della previgente disciplina ed al massimo edittale attualmente previsto.
Ritenendo dette censure infondate, la Cassazione ha preliminarmente osservato come l'illegalità in toto del procedimento di commisurazione giudiziale in base ad un quadro edittale travolto dalla declaratoria di illegittimità costituzionale (per effetto della nota sentenza 32/2014), rende necessaria una nuova determinazione della pena che assuma come parametro edittale la reviviscente disciplina attualmente in vigore. Ciò, se si consideri che quest'ultima è incentrata sulla distinzione tra droghe "leggere" e droghe "pesanti", laddove quella dichiarata incostituzionale unificava invece il trattamento sanzionatorio per le condotte di produzione, traffico e detenzione, sopprimendo ogni distinzione basata sulla natura delle sostanze droganti.
Alla luce di tale considerazione, dunque – prosegue la Suprema Corte – la nuova determinazione della pena non può risolversi in una mera operazione matematica, preclusa in radice dal divergente apprezzamento del disvalore del fatto, sotteso alle due discipline.
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