La Corte europea dei diritti dell'uomo - pronuncia sul ricorso n. 30562/04 – nel bocciare la normativa inglese sulla conservazione dei prelievi di Dna, ha fornito alcuni criteri guida, utili agli Stati membri, per raccogliere e conservare tale tipo di dati. Il profilo del Dna – spiega la Corte – anche se rende difficile l'identificazione della persona, rientra, comunque, nell'ambito di applicazione dell'art. 8 della Convenzione europea, posto a garanzia del diritto alla privacy. Non solo. Contenendo materiale unico, utilizzabile anche per altri fini, come l'individuazione di legami personali, comporta un particolare aggravamento della lesione del diritto alla privacy. Inoltre, anche la raccolta di impronte digitali rientra nella nozione di vita privata. Per i giudici europei, in particolare, sebbene il prelievo del Dna e delle impronte digitali perseguano un obiettivo legittimo quale la prevenzione del crimine, il sistema penale degli Stati membri deve comunque assicurare adeguate garanzie stabilendo una durata massima di conservazione dei dati, l'utilizzo degli stessi con riferimento ad alcuni reati, l'accesso, le procedure per preservane l'integrità e la confidenzialità.
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