Uno Stato membro dell’Unione europea può riconoscere il diritto di soggiorno nel proprio territorio al cittadino di un paese terzo, genitore di un figlio minorenne avente cittadinanza di tale Stato Ue, qualora egli si occupi quotidianamente ed effettivamente del bambino e riesca a dimostrare che una decisione di rifiuto del suo diritto di soggiorno, lo obbligherebbe a lasciare il Paese Ue, così privando il minore del godimento effettivo dei diritti connessi allo status di cittadino europeo.
Spetta in ogni caso allo Stato membro di cui trattasi, procedere, sulla base degli elementi forniti dal cittadino straniero, alle ricerche necessarie in considerazione della specifica situazione, per valutare se una decisione di rifiuto potrebbe avere siffatte conseguenze.
E’ quanto enunciato dalla Corte di giustizia UE, Grande sezione - con sentenza del 10 maggio 2017, C 133/2015 – vertente sull'interpretazione pregiudiziale dell’art. 20 TFUE.
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