Nei reati di diffamazione commessi a mezzo internet, ove sia impossibile individuare il luogo di consumazione del reato e sia invece possibile individuare il luogo in remoto in cui il contenuto diffamatorio è stato caricato, la competenza si determina in base a quest'ultimo, ovvero, in riferimento al luogo fisico dove viene effettuato l'accesso alla rete per il caricamento dei dati sul server.
E' quanto dedotto dalla Corte di Cassazione, quinta sezione penale, con sentenza n. 31667 depositata il 21 luglio 2015, in accoglimento del ricorso di un giornalista imputato, che aveva pubblicato sul proprio sito internet un articolo diffamatorio nei confronti di un personaggio pubblico.
Il ricorrente, tra le altre censure, lamentava l' incompetenza territoriale del giudice investito della controversia.
La Cassazione sul punto, accogliendo la sollevata censura, ha innanzitutto premesso come nei reati di diffamazione via web sia effettivamente impossibile stabilire il luogo di commissione degli stessi, non essendo affatto agevole l'individuazione del soggetto che per secondo - così integrando il requisito della comunicazione con più persone - legga l'articolo diffamatorio (giacchè non è sufficiente la sola connessione al sito internet, dovendosi verificare l'effettiva percezione della comunicazione offensiva).
Soccorre dunque il primo dei criteri suppletivi di cui all'art. 9 c.p., secondo cui la competenza in giudizio si determina laddove è individuabile il luogo in cui è avvenuta una parte dell'azione.
E nel caso di specie non è contestabile – prosegue la Corte – che parte dell'azione materiale che ha concorso all'integrazione della fattispecie di reato, sia stato il caricamento del documento diffamatorio sul server che ospita il blog del ricorrente. Sicché la competenza va individuata proprio nel luogo in cui il caricamento di detto documento è stato effettivamente eseguito.
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