Diffamatorio comunicare l’apertura di un’indagine senza, poi, il proscioglimento

Pubblicato il 07 gennaio 2015 Costituisce diffamazione pubblicare in un sito web un comunicato con cui si dia atto dell’apertura di un’indagine a carico di un soggetto, senza contestualmente comunicare il successivo proscioglimento dello stesso.

Né vale ad escludere la fattispecie di diffamazione, il fatto che la notizia circa la chiusura dell’indagine a favore dell’indagato, sia stata resa in altra area tematica accessibile dallo stesso sito.

E’ necessario, infatti, che entrambe le notizie siano evidenziate nel medesimo contesto, ovvero, all’interno dello stesso comunicato.

Questo è quanto emerge dalla sentenza n. 27535 depositata in data 30 dicembre 2014, con cui la Corte di Cassazione ha confermato la decisione di condanna del Codacons al risarcimento del danno in favore del Dirigente responsabile dell’Istituto Superiore della Sanità.

Completezza dell'informazione nello stesso contesto

Nella vicenda esaminata dai giudici di legittimità, l’Associazione per la difesa dei Consumatori aveva inserito nel proprio sito web un comunicato con cui dava atto dell’apertura di un’indagine a carico del Dirigente, senza tuttavia comunicare il successivo proscioglimento dello stesso.

Ad opinione dei giudici di merito, prima, e della Cassazione, poi, il mancato aggiornamento del comunicato, aveva leso la reputazione del Dirigente, attraverso informazioni non più attuali e tali da fornire “all’utente un’immagine distorta ed incompleta dei fatti”.

Né assumeva alcuna rilevanza il fatto che la notizia del proscioglimento fosse stata resa in altro comunicato, pur se facilmente accessibile dalla medesima pagina web.

La correttezza e completezza dell’informazione richiedeva, infatti, che la seconda notizia fosse evidenziata nel medesimo contesto, ovvero, alla fine del comunicato iniziale.

Quantificazione del danno ed onere della prova

Inoltre, relativamente alla quantificazione del danno, non sussisteva, nella fattispecie, alcuna violazione dell’onere della prova, in quanto il pregiudizio subito ben poteva essere accertato in via del tutto presuntiva.

In proposito, la Cassazione ha fatto riferimento alla “notorie sofferenze” di un soggetto cui “sia stata fornita un’immagine biasimevole sotto il profilo etico” e che sia stato additato “come una persona sulla cui condotta professionale si stava indagando”.

Il risarcimento quantificato in via equitativa nei precedenti gradi di giudizio, era da ritenere, pertanto, adeguato, in considerazione di molteplici elementi, tra cui “il contenuto del comunicato”, “la particolare qualifica rivestita dal Dirigente” nonché “la potenziale alta diffusività del messaggio denigratorio”.
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