Criptovalute: dichiarazione infedele per omessa indicazione di proventi da NFT

Pubblicato il 28 febbraio 2025

Integra il reato di dichiarazione infedele l'omessa dichiarazione dei proventi derivanti da criptovalute e NFT, se tali proventi, convertiti in valuta corrente, superano le soglie di punibilità.

Nei predetti casi, infatti, i proventi sono considerati reddito imponibile ai sensi della normativa fiscale vigente.

Lo ha puntualizzato la Corte di cassazione, Terza Sezione penale, con sentenza n. 8269 del 28 febbraio 2025, nel pronunciarsi riguardo ad un procedimento penale a carico di un imputato accusato di dichiarazione infedele.

Nella decisione, la Suprema Corte ha affermato che la mancata indicazione, nella dichiarazione dei redditi, dei proventi derivanti dalle criptovalute ottenuti tramite la cessione di opere digitali (NFT) costituisce un fumus del delitto di dichiarazione infedele.

Ciò accade quando il valore di tali proventi, se convertiti in valuta corrente, supera le soglie di punibilità previste dall'art. 4 del Decreto legislativo n. 74/2000.

Inoltre, questi proventi devono essere considerati reddito imponibile, ai sensi degli artt. 53 e 54 del D.P.R. n. 917/1986, che disciplinano il reddito delle persone fisiche e l’imposizione fiscale.

In sostanza, l’omessa dichiarazione di questi redditi digitali, qualora il loro ammontare superi le soglie previste dalla legge, può configurare il reato di dichiarazione infedele, con tutte le relative conseguenze penali.

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