Dichiarazione fraudolenta, il commercialista può concorrere nel reato

Pubblicato il 11 gennaio 2022

Rischia la condanna penale il commercialista che predispone e inoltra dichiarazioni fiscali contenenti l'indicazione di elementi passivi fittizi supportati da fatture per operazioni inesistenti, omettendo di segnalare una serie di anomalie rilevate nella contabilità dell'assistito e proseguendo, per timore di perdere il cliente, nell'attività di consulenza fiscale.

Commercialista condannato per concorso in dichiarazione fraudolenta

Confermata, dalla Cassazione, la condanna di un commercialista per concorso nel reato di dichiarazione fraudolenta, commesso nell'espletamento del proprio mandato in favore di due società clienti.

Il consulente era stato ritenuto responsabile, dai giudici di merito, perché, quale professionista e depositario delle scritture contabili delle due Srl, consapevole dell'attività illecita posta in essere dalle stesse e dagli amministratori, al fine di evadere le imposte sui redditi e sul valore aggiunto, aveva consentito di indicare nelle dichiarazioni annuali relative alle predette imposte numerosi elementi passivi fittizi, avvalendosi di documenti relativi a operazioni oggettivamente inesistenti.

L'imputato aveva impugnato la decisione della Corte d'appello davanti alla Suprema corte, deducendo, tra gli altri motivi, violazione di legge e vizio di motivazione in ordine all'elemento sia oggettivo che soggettivo del reato.

Doglianze, queste, giudicate infondate dalla Terza sezione penale.

Con sentenza n. 156 del 10 gennaio 2022, la Corte di cassazione ha richiamato i principi già affermati dalla giurisprudenza di legittimità per quel che riguarda la responsabilità concorsuale del consulente fiscale nel reato di cui all'art. 2 del D. Lgs. n. 74/2000.

Il commercialista di una società - ha ricordato la Corte - può concorrere nel reato di dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti, agendo a titolo di dolo eventuale.

Il contributo causale del concorrente, in tali ipotesi, può manifestarsi attraverso forme differenziate e atipiche della condotta criminosa, non solo in caso di concorso morale ma anche in caso di concorso materiale.

Il predetto contributo concorsuale assume rilevanza non solo quando abbia efficacia causale, ponendosi come condizione dell'evento lesivo, ma anche quando assume la forma di un contributo agevolatore, vale a dire quando il reato, senza la condotta di agevolazione, sarebbe stato ugualmente commesso, ma con maggiori incertezze di riuscita o difficoltà.

A questo fine, basta che la condotta di partecipazione si manifesti in un comportamento esteriore idoneo ad arrecare un contributo apprezzabile alla commissione del reato, mediante il rafforzamento del proposito criminoso o l'agevolazione dell'opera degli altri concorrenti.

Consulente fiscale responsabile a titolo di dolo eventuale

Con riferimento, poi, al profilo della colpevolezza, il dolo specifico richiesto è compatibile con il dolo eventuale, ravvisabile nell'accettazione del rischio che l'azione di presentazione della dichiarazione, comprensiva anche di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti, possa comportare l'evasione delle imposte o dell'Iva.

Nel caso in esame, la Corte territoriale aveva fatto buon governo dei principi richiamati, avendo, infatti, evidenziato che l'imputato, nella sua qualità di commercialista, aveva tenuto la contabilità delle società curandone la registrazione delle fatture ed effettuando le dichiarazioni dei redditi.

In particolare, le risultanze documentali, confermate dallo stesso ricorrente, comprovavano che, nel periodo temporale considerato, tutte le dichiarazioni fiscali delle società erano state predisposte e firmate con il suo codice fiscale e che lo stesso aveva depositato i bilanci con la sua smart card.

Il consulente era a conoscenza di varie anomalie riguardanti la contabilità della società, quali numerose autofatture per importi rilevanti e prelievi di somme in contanti, più volte segnalategli dalla dipendente che, sotto le sue direttive, curava la registrazione delle fatture.

Egli, pur rilevando tali anomalie ed essendo consapevole della necessità della presentazione delle autofatture all'Agenzia delle entrate e della segnalazione alla GdF per i prelievi in contanti, non si era attivato in tal senso, proseguendo nell'assistenza fiscale delle società. Il tutto, per timore di perdere clienti, per come dallo stesso dichiarato in sede di esame.

Così facendo aveva contribuito all'attuazione del meccanismo fraudolento che aveva consentito all'amministratore delle società di avvalersi di documentazione fittizia.

Quanto al profilo soggettivo, erano plurimi gli elementi fattuali a riprova della sussistenza del dolo eventuale, ravvisabile nell'accettazione del rischio che l'azione di presentazione delle dichiarazioni potesse comportare l'evasione delle imposte.

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