Demansionamento professionale. Il risarcimento ricade in solido sulle società coinvolte

Pubblicato il 23 settembre 2013 Con due sentenza del 10 e 11 settembre 2013, rispettivamente la n. 20716 e la n. 20829, la Corte di Cassazione si esprime in materia di responsabilità solidale da parte delle società per i danni arrecati ai loro dipendenti.

Con la prima pronuncia – la n. 20716/2013 – la Corte analizza il caso di una cessione di ramo d’azienda a seguito della quale i dipendenti coinvolti nell’operazione straordinaria hanno subito un danno da demansionamento. Contro la decisione dei giudici di merito, che hanno imposto il risarcimento sia all’azienda cedente che alla cessionaria in virtù del principio di responsabilità solidale, si è proposto ricorso in Cassazione. I Supremi giudici, rigettando il ricorso principale e quello incidentale, confermano che nel caso in cui nel passaggio di dipendenti da un’azienda ad un’altra si verifichi un demansionamento professionale sussiste la responsabilità solidale. Entrambe le azienda sono, così, tenute a risarcire il danno subito dai lavoratori, a condizione che questi ultimi dimostrino che durante l’operazione di trasferimento vi sia stata continuità del proprio rapporto di lavoro. Unica ipotesi in cui la responsabilità solidale di cui all’articolo 2112 del Codice civile non opera è, appunto, in caso di cessazione del rapporto di lavoro prima del trasferimento del ramo d’azienda.

Nella sentenza n. 20829/2013, ancora, è una banca ad essere chiamata a risarcire il danno da dequalificazione professionale subito da un vicedirettore di un piccolo istituto di credito, assorbito – in virtù di un’operazione societaria – da un’azienda di credito di maggiori dimensioni. Anche in questo caso, la Cassazione ribadisce che se interviene un’operazione societaria, a conclusione della quale il dipendente perde il proprio ruolo a seguito dell’affidamento di mansioni diverse e senza ombra di dubbio di livello inferiore, non può essere considerato ammissibile tale sorta di demansionamento. Per la Corte non può essere accolta la motivazione secondo cui nel giudizio di equivalenza si deve tener conto anche della nuova organizzazione imprenditoriale. Per poter addurre un giudizio di equivalenza non può essere fatta una comparazione tra realtà aziendali evidentemente troppo differenti tra di loro sia per dimensioni che per importanza: la corretta valutazione a livello di equivalenza potrà essere effettuata solo tenendo contro dei reali compiti svolti concretamente dal dipendente nelle due realtà aziendali.
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