Decreto Pnrr, dal Governo stretta sul lavoro irregolare e appalti

Pubblicato il 05 marzo 2024

Non solo sicurezza sul lavoro nel decreto Pnrr, ma anche lotta al lavoro irregolare.

Abbiamo illustrato nei giorni scorsi i provvedimenti adottati dal Governo (quale ad esempio la patente a crediti) per arginare il dilagante fenomeno degli infortuni sul lavoro; vediamo ora cosa viene messo in campo per contrastare un’altra piaga di grande attualità, tra l’altro strettamente collegata agli infortuni sul lavoro e di grande impatto sociale, vale a dire il lavoro irregolare.

Sanzioni: vecchia e nuova normativa a confronto

Dal 2 marzo 2024, dunque, sanzioni amministrative più aspre per chi occupa lavoratori irregolari; vediamo in che misura, dopo le modifiche apportate alla normativa vigente dal decreto legge n. 19 del 2 marzo 2024.

L’articolo 3 del decreto legge n. 12/2002 prevede, in caso di impiego di lavoratori subordinati senza preventiva comunicazione di instaurazione del rapporto di lavoro e con la sola esclusione del datore di lavoro domestico, l’applicazione di una maxi sanzione modulata in base alla durata dell’illecito.

Fino al 1° marzo 2024 si partiva da:

Le sanzioni erano poi aumentate del 20% in caso di impiego di lavoratori stranieri, minori in età non lavorativa e percettori di reddito di inclusione.

Dal 2 marzo 2024, il decreto Pnrr ha modificato la lettera d) dell’articolo 1, comma 445, della legge 145/2018 innalzando al 30% l’incremento della maxi sanzione; ne deriva che le fasce sanzionatorie risultano così modificate:

NOTA BENE: Il raddoppio della maggiorazione in caso di recidiva di cui alla legge 145/2018 resta confermato, ma occorre tenere conto di quanto chiarito dall’Ispettorato del lavoro, secondo cui la recidiva non si configura nelle ipotesi di estinzione degli illeciti amministrativi per i quali sia intervenuto il pagamento in misura ridotta ex articolo 16 della legge n. 689/1981.

Appalto irregolare perseguibile penalmente

Un’altra importante novità del decreto Pnrr per contrastare gli appalti irregolari è data dalla fattispecie della somministrazione fraudolenta, introdotta dalla legge Biagi e successivamente abrogata.

Nel decreto questa fattispecie si configura in diverse situazioni di illecito secondo un criterio di gravità crescente.

L’appalto lecito si configura quando chi agisce come committente acquista un servizio o un prodotto realizzato autonomamente da un terzo con propria organizzazione dei mezzi e rischio di impresa; nella realtà dei fatti accade invece che questa autonomia manchi e che dietro la figura giuridica dell’appalto si celi l’obiettivo di prestare lavoratori al committente, che li organizza come se fossero propri dipendenti senza però assumere le responsabilità giuridiche che ne derivano.

Ecco, in tal caso il decreto introduce la sanzione penale per utilizzatore e somministratore dell’arresto fino a un mese o dell’ammenda di 60 euro per ogni lavoratore occupato e per ogni giornata di occupazione.

NOTA BENE: La sanzione si applica anche alle ipotesi in cui il distacco di personale sia attuato in violazione dei requisiti di legge.

In sostanza, se uno schema giuridico viene utilizzato per mascherare una fornitura di manodopera si ricade nell’ipotesi della somministrazione irregolare, con conseguente comminazione della nuova sanzione penale, in quanto solo le Agenzie per il lavoro possono esercitare tale attività in quanto autorizzate dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali.

La sanzione penale diventa più aspra se il comportamento è caratterizzato dalla fraudolenza, vale a dire dal cosiddetto dolo specifico avente la specifica finalità di eludere norme inderogabili di legge o di contratto collettivo applicate al lavoratore.

Applicazione dei contratti collettivi: qualche considerazione

Nell’ottica di rafforzare le misure di contrasto all’utilizzo irregolare degli appalti anche dal punto di vista delle condizioni di lavoro, il decreto prevede a carico degli appaltatori e degli eventuali subappaltatori l’obbligo di riconoscere al personale impiegato nell’appalto un trattamento economico complessivo non inferiore a quello previsto dal contratto collettivo nazionale e territoriale maggiormente applicato nel settore (e non, si noti bene, sottoscritto dalle organizzazioni comparativamente più rappresentative).

Una formula, questa del contratto “maggiormente applicato” che ha dato adito a grossi dubbi da parte di autorevoli giuristi del lavoro: si tratta di una differenza sostanziale, quella tra le nozioni di contratto maggiormente applicato e contratto sottoscritto dalle organizzazioni comparativamente più rappresentative.

Nel primo caso, infatti, il datore di lavoro sceglie il contratto da applicare aderendo all’associazione che ritiene più favorevole rischiando così di incentivare la contrattazione pirata, fatta da organizzazioni di comodo che non tutelano i lavoratori ma gli interessi delle imprese che li utilizzano.

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