Con sentenza del 19 giugno 2020 n. 12041 la Corte Suprema di Cassazione, Sezione lavoro, rigettando il quinto motivo di ricorso di una S.p.a., ha enunciato, in funzione nomofilattica, un principio di diritto concernente i criteri di accertamento della responsabilità del datore di lavoro in caso di azione del lavoratore proposta per il risarcimento del danno c.d. “differenziale” derivante da infortunio o malattia professionale e, per connessione, nell’ipotesi di azione di regresso esercitata dall’Inail, confermando la sentenza della Corte di Appello di Torino che aveva affermato la responsabilità della società, sia nei confronti del lavoratore che nei confronti dell’Inail, secondo criteri di giudizio civilistici.
In Cassazione proponeva ricorso la società denunciando violazione e falsa applicazione degli artt. 2043, 2697 c.c., 10 e 11 D.P.R. n. 1124/1965, per erronea esclusione dell’esonero dalla responsabilità civile datoriale nei confronti degli eredi del lavoratore deceduto e dell’Inail che ha agito in regresso, pur in assenza del presupposto che sarebbe costituito esclusivamente dalla “condanna penale per il fatto dal quale l’infortunio (o la malattia professionale) è derivato”, da intendere anche come accertamento di responsabilità in sede civile, ma secondo i principi e le regole proprie del processo penale.
Resistevano le altre parti con controricorso, comunicando memoria ex art. 378 c.p.c. in relazione alla predetta questione.
La disputa da dirimere, sottolinea la Corte, vede contrapposta la tesi di chi sostiene che il giudice civile, in tali casi, deve porsi come il giudice penale, adottando gli stessi criteri di giudizio e la stessa metodologia di controllo (allo scopo di non svuotare di contenuto la regola dell’esonero che libera il datore che paga i premi) e quella di chi, sulla base degli artt. 32 e 38 della Costituzione, dichiara superato il modello della “transazione sociale” (per il quale l’imprenditore che paga il premio è esonerato dalla responsabilità civile per i danni cagionati ai lavoratori nell’esercizio dell’attività, salvo condanna penale) che ha dato vita agli articoli 10 e 11 del predetto D.P.R., sostenendo che nel giudizio civile operano le regole di accertamento previste innanzitutto dagli artt. 1218 e 2087 c.c..
La questione è destinata, sottolineano i Giudici, a produrre effetti sugli esiti delle controversie atteso, in particolare, il diverso riparto degli oneri probatori in tema di accertamento della colpa (nel giudizio penale l’accusa deve dimostrare l’elemento soggettivo in concreto e in positivo, mentre per la responsabilità civile contrattuale opera l’inversione dell’onere probatorio, gravando sull’autore del danno la prova liberatoria) e del nesso causale (nel processo penale il rapporto di causalità tra condotta ed evento deve accertarsi, a carico della pubblica accusa, “al di là di ogni ragionevole dubbio”, mentre nel giudizio civile vige la regola del “più probabile che non”) e deve essere risolta alla luce dei principi in tema di reciproca interferenza delle regole di assicurazione obbligatoria contro gli infortuni e malattie professionali con le azioni di risarcimento del danno causato da eventi nell’espletamento dell’attività lavorativa, delle successive pronunce giurisprudenziali e delle modifiche normative che hanno sostanzialmente decretato la fine della pregiudizialità penale.
A tal proposito, la Corte evidenzia come anche il nuovo codice di procedura penale abbia ripudiato il principio di unità della giurisdizione e di prevalenza del giudizio penale, in favore di quello della parità e originarietà dei diversi ordini giurisdizionali e dell’autonomia dei giudizi con conseguente possibile difformità dei giudicati.
Attesa dunque la pressoché completa autonomia e separazione tra giudizio penale e civile che caratterizza l’attuale sistema, deve ritenersi, prosegue la Corte, che la “condanna penale” di cui al secondo comma dell’art. 10 del D.P.R. in oggetto abbia perduto la sua valenza prescrittiva, sia perché surrogata dall’accertamento, in sede civile, del fatto che costituisce reato, sia perché non assolve più all’originaria funzione, che era quella di disciplinare i rapporti di un pregiudiziale e prevalente procedimento penale rispetto ad un eventuale giudizio civile.
Alla luce del descritto percorso giurisprudenziale e normativo, la Cassazione rigetta, pertanto, il quinto motivo del ricorso proposto dalla società, enunciando il seguente principio di diritto: “ In tema di assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali, la disciplina prevista dagli artt. 10 e 11 del D.P.R. n. 1124 del 1965 deve essere interpretata nel senso che l’accertamento incidentale in sede civile del fatto che costituisce reato, sia nel caso di azione proposta dal lavoratore per la condanna del datore di lavoro al risarcimento del c.d. danno differenziale, sia nel caso dell’azione di regresso proposta dall’Inail, deve essere condotto secondo le regole comuni della responsabilità contrattuale, anche in ordine all’elemento soggettivo della colpa ed al nesso causale tra fatto ed evento dannoso”.
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