Danno da dequalificazione professionale, la prova deve essere specifica

Pubblicato il 24 maggio 2021

In tema di demansionamento e dequalificazione professionale il diritto al risarcimento del danno del lavoratore non ricorre automaticamente in tutti i casi di inadempimento datoriale e non può prescindere da una specifica allegazione sulla natura e sulle caratteristiche del pregiudizio lamentato.

L’assunto, come da costante orientamento giurisprudenziale di legittimità, è stato richiamato nell’Ordinanza della Corte di Cassazione 18 maggio 2021, n. 13536, che ha confermato il giudizio della Corte d’Appello Partenopea rigettando il ricorso proposto dal lavoratore.

Secondo la ricostruzione degli Ermellini, in base ai principi generali di cui agli artt. 2697 e 1223, Cod. Civile, è necessario individuare, ai fini del diritto al risarcimento del danno subito, non solo la condotta datoriale colpevole – e, dunque, produttiva di eventuali danni alla sfera giuridica del lavoratore – ma devono essere descritte le lesioni, patrimoniali e non patrimoniali, prodotte da tale condotta, a prescindere dalla loro esatta quantificazione e dall’assolvimento di ogni onere probatorio a riguardo.

Grava sul prestatore di lavoro l’onere di provare l’esistenza del danno lamentato, la natura e le caratteristiche del pregiudizio subito oltreché, chiaramente, il nesso causale con l’inadempimento del datore di lavoro.

Nel caso de quo, il lavoratore si era limitato a provare la dequalificazione professionale subita senza fornire adeguati elementi a sostegno del pregiudizio professionale derivato dal citato comportamento datoriale.

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