Dallo shopping compulsivo può derivare l'addebito della separazione

Pubblicato il 20 novembre 2013 La Corte do cassazione, con la sentenza n. 25843 depositata il 18 novembre 2013, ha confermato la statuizione con cui la Corte d'appello aveva addebitato la separazione ad una donna a causa del suo impulso irrefrenabile allo shopping escludendone, pertanto, il diritto al mantenimento che, per contro, le era stato riconosciuto in primo grado.

La donna aveva adito i giudici di legittimità lamentando che il naufragio del matrimonio non poteva esserle addebitato proprio in considerazione del disturbo della personalità da cui era affetta che, come riconosciuto in sede di consulenza tecnica, la spingeva a spendere, in quanto caratterizzato da “un impulso irrefrenabile ed immediato ad acquistare e da una tensione crescente alleviata soltanto acquistando beni mobili”.

Secondo la Corte, tuttavia, anche in presenza di una diagnosi di shopping compulsivo come quella in oggetto, andava comunque considerato rilevante che la donna era “lucida e orientata nei parametri spazio temporali nei confronti delle persone e delle cose”, tanto che se ne doveva escludere l'incapacità di intendere e volere.
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