I lavoratori Tizio e Caio si sono recati alla DTL per effettuare una denuncia nei confronti del proprio datore di lavoro, lamentando la cattiva gestione da parte di quest’ultimo della Cassa integrazione, consistente nel cumulo di quest’ultima con lavoro straordinario. Quali conseguenze si prospettano per il datore di lavoro.
Premessa
Il prolungarsi della crisi economica ha determinato un uso massiccio degli ammortizzatori sociali, primi di tutti della Cassa integrazione, al punto che per quest’ultima è stata persino dettata una disciplina derogatoria volta ad ampliare le fattispecie di accesso all’istituto. In tale contesto il ricorso alla Cassa integrazione è servito alle imprese e ai lavoratori per attenuare le difficoltà generate dal perdurare della grave congiuntura economica, ma al tempo stesso è stato anche preda di coloro che, sotto le mentite spoglie della crisi, se ne sono serviti per finalità improprie. Quest’ultima possibilità a giudizio degli scriventi è stata facilitata dalla circostanza che la Cassa integrazione è tutt’oggi disciplinata da una normativa ormai anacronistica, sfuggente ai controlli, e non più al passo con i tempi. L’auspicio è che il Governo in esercizio della legge delega approvata definitivamente dal Senato (c.d. Jobs Act) ridisegni l’istituto, contestualizzandolo con la emananda riforma della disciplina del mercato del lavoro e in armonia con i principi di tracciabilità telematica che governano le verifiche amministrative. Ciò premesso, la tematica che occorre analizzare riguarda la compatibilità della Cassa integrazione con l’istituto del lavoro straordinario. Si tratta di una fattispecie di incerta soluzione, perché la legge non fornisce indicazioni espresse e perché in materia si registra una carenza di pronunciamenti da parte sia della giurisprudenza sia della prassi amministrativa. Per sciogliere il nodo pare opportuno richiamare i principi che governano la Cassa integrazione e sistematizzarli con quelli relativi al lavoro straordinario.
l’intervento ordinario (CIGO) per situazioni sospensive brevi e transitorie;
l’intervento straordinario (CIGS) per cause di durata più lunga ed esito incerto.
Alla base di entrambe le tipologie di intervento c’è la funzione di integrare o sostenere la retribuzione dei lavoratori a seguito di sospensioni o riduzioni dell’attività di impresa. In tale modo la Cassa integrazione permette la permanenza del rapporto di lavoro in vista di una più o meno prevedibile ripresa produttiva. Il requisito della certezza della ripresa dell’attività lavorativa comunque va inteso come ragionevole prevedibilità della ripresa e non in termini di certezza assoluta.
Se i presupposti della CIGO e della CIGS sono diversi, gli stessi comunque appaiono generalmente riconducibili a dinamiche di mercato che mettono a rischio la vita dell’impresa e conseguentemente gli stessi livelli occupazionali.
Il requisito fondamentale per la concessione della CIGO è la non imputabilità dell’evento posto alla base della richiesta del trattamento di sostegno. Depone in tal senso tanto l’art. 1 della L. n. 164 cit. che richiama testualmente “situazioni aziendali dovute ad eventi transitori e non imputabili all’imprenditore o agli operai”. La giurisprudenza è consolidata nel ritenere che tale concetto “implica l’assoluta estraneità dell’evento rispetto alla sfera psichica dei soggetti interessati, sotto il profilo sia della prevedibilità dell’evento stesso che della responsabilità, con sostanziale riconduzione dell’applicazione della norma a situazioni di forza maggiore”. Deve trattarsi, in altre parole, di casi fortuiti o di forza maggiore, per tali dovendosi intendere tutti quei fatti strettamente connessi all’attività produttiva ma indipendenti dalla reale volontà dell’imprenditore e dal normale andamento dell’azienda. Al riguardo anche l’INPS ha ritenuto che la non imputabilità va intesa come involontarietà o mancanza di imperizia e/o negligenza e in genere come non riferibilità dell’evento sospensivo all’organizzazione o alla programmazione aziendale della CIGO.
Per quanto riguarda invece la CIGS, quest’ultima è solitamente attivabile in conseguenza di crisi economica dell’impresa ovvero a scelte di politica aziendale dettate dalla necessità di attuare dei mutamenti organizzativi che garantiscano all’impresa stessa, pur sotto mutati assetti gestionali e produttivi, di non perdere quote di mercato e a salvaguardare i livelli occupazionali. Si tratta comunque di un intervento riconducibile a problematiche generali del settore operativo dell’impresa, sostanzialmente indipendenti dalla reale volontà dell’imprenditore e dei lavoratori.
Resta indubitabile comunque che attraverso la cassa integrazione, sia ordinaria sia straordinaria, l’impresa rimane sollevata dal pagamento delle retribuzioni in favore dei lavoratori i quali, pur non prestando la propria attività, ricevono comunque dall’INPS il pagamento di un’indennità sostitutiva pari all’80% della retribuzione. In tale modo il rapporto di lavoro, se pur giuridicamente esistente, rimane sospeso in ordine alle due obbligazioni principali.
Il carattere residuale delle CIG
A parte la CIG per eventi climatici che postula una ratio differente, logico corollario di tali premesse è il carattere schiettamente residuale della Cassa integrazione nel senso che quest’ultima, in quanto ammortizzatore sociale volto a sostenere il reddito in costanza di una sospensione totale o parziale delle prestazioni oggetto del contratto di lavoro, appare utilizzabile esclusivamente nell’ipotesi in cui l’impresa non riesca a fronteggiare l’evento depressivo mediante il ricorso ad altri istituti contrattuali. Il carattere residuale o di extrema ratio della Cassa emerge anche laddove quest’ultima venga analizzata sistematicamente con altri istituti del diritto del lavoro.
CIG e distacco
Il distacco può essere legittimamente utilizzato come alternativa al ricorso della CIG in funzione di preservare il patrimonio professionale dell’impresa. L’interesse che legittima il distacco è, in questo caso, rappresentato dall’interesse dei lavoratori a non essere sospesi dal lavoro e a non subire conseguentemente riduzioni reddituali, mentre, per quanto attiene al distaccante, l’interesse può essere individuato nel passaggio dei costi della manodopera in eccedenza in capo al distaccatario.
CIG e altra attività di lavoro
Mutatis mutandi il carattere residuale della Cassa integrazione si evince anche dal regime di tendenziale incompatibilità con l’espletamento, in costanza di trattamento, di un’altra prestazione di lavoro da parte del dipendente sospeso. Ai sensi dell’art. 8 commi 4 e 5 del D.L. 86/1988, i lavoratori che durante il trattamento di CIG si dedicano ad attività lavorativa perdono il diritto a percepire il trattamento per le giornate lavorate. Al riguardo si ha incompatibilità tra il nuovo rapporto di lavoro subordinato e l’integrazione salariale, nel caso in cui tale rapporto di lavoro venga stipulato a tempo pieno e indeterminato. Semmai si può avere compatibilità parziale in una sola ipotesi:
la nuova attività lavorativa intrapresa, per la collocazione temporale, sarebbe stata comunque compatibile con l’attività lavorativa sospesa che ha dato luogo all’integrazione salariale (due rapporti di lavoro a tempo parziale ovvero un rapporto di lavoro a tempo pieno e uno a tempo parziale nel limite dell’orario massimo settimanale di lavoro), sempre che il compenso (o provento) per la nuova attività subordinata o autonoma sia inferiore all’entità dell’integrazione stessa. In questo caso il lavoratore percepirà una quota pari alla differenza tra l’intero importo dell’integrazione salariale spettante e il reddito percepito.
Se si accetta l’assunto della residualità della Cassa integrazione, allora va da sé che l’istituto risulta in linea di principio incompatibile con la possibilità da parte dell’impresa di ricorrere congiuntamente a prestazioni di lavoro straordinario.
CIG e lavoro e straordinario
Occorre premettere che con l’entrata in vigore del D.lgs. n. 66/2003 è stato sostituito il limite giornaliero di 8 ore di lavoro: allo stato attuale rileva la durata del riposo minimo, che viene quantificato in 11 ore consecutive ogni 24 ore di lavoro. Resta viceversa valido il limite settimanale dell’orario di lavoro, comprensivo delle ore di lavoro straordinario, che è quantificato in 48 ore.
L’art. 1 comma 2 lett. c) del D.lgs. n. 66 cit. definisce lo straordinario come il “lavoro prestato oltre l’orario normale di lavoro”, fissato, dal successivo art. 3 del medesimo testo normativo in 40 ore settimanali, da intendersi non necessariamente come settimana di calendario, salva la facoltà della contrattazione collettiva, di qualsiasi livello, di introdurre il c.d. regime degli orari multiperiodali. Pertanto il limite normativamente fissato per qualificare il lavoro in termini di normalità è di 40 ore settimanali, superate le quali la prestazione andrà imputata a lavoro straordinario. Ebbene durante il trattamento di Cassa integrazione la prestazione di lavoro è sospesa totalmente o parzialmente e la misura di sostegno al reddito interviene a coprire le ore non lavorate nel limite massimo di 40 ore settimanali, stante il disposto di cui all’art. 2 della L. n. 164 cit.. Se ciò è vero, allora appare irriducibile, se non pena la frattura della norma, richiedere al medesimo dipendente sospeso, l’espletamento di lavoro straordinario, quando lo stesso orario normale settimanale non risulta completato nella sua interezza. Se poi il trattamento di integrazione salariale viene corrisposto con sospensione totale della prestazione (c.d. Cassa a zero ore) l’orario normale di lavoro non risulta neppure parzialmente svolto, sicché appare normativamente insostenibile ricorrere a un istituto, qual è lo straordinario, che presuppone l’assolvimento integrale del lavoro ordinario.
D’altronde l’articolo 2 della L. 164 cit. se da un lato conferma che la prestazione lavorativa in costanza di CIG entra in stato di quiescenza (al punto che il lavoratore non matura neppure il diritto alle ferie), dall’altro lato sancisce un tetto orario, corrispondente all’orario normale di lavoro, oltre il quale non solo non è possibile fruire dell’ammortizzatore sociale, ma implicitamente preclude, per il medesimo rapporto, di svolgere prestazioni aggiuntive che comportino una remunerazione atta a superare il massimale riconosciuto con il trattamento di CIG. In altri termini, se il lavoratore collocato in CIG può svolgere, nei limiti della compatibilità temporale sopra descritta, altra e differente attività di lavoro per compensi comunque inferiori all’indennità di CIG, ciò significa a fortiori che per il medesimo rapporto di lavoro non appare possibile svolgere attività al di là del limite massimo delle 40 ore.
Ma vi è di più.
L’art. 5 del D.lgs. n. 66 cit. tratteggia i contenuti del lavoro straordinario stabilendo che lo stesso “deve essere contenuto” e che il ricorso ad esso, salva diversa disciplina collettiva, è ammissibile per un definito monte ore annuo e solo per ipotesi oggettive correlate a intensi cicli produttivi e/o particolari eventi di lavoro che non consentono di essere soddisfatti mediante l’espletamento dell’ordinario orario di lavoro da parte del personale occupato in impresa. Normalmente il lavoro straordinario viene retribuito attraverso una maggiorazione della retribuzione ordinaria. Tale maggiorazione è prevista dalla contrattazione collettiva. Sempre la contrattazione può prevedere che, in alternativa alla maggiorazione per il lavoro straordinario, al lavoratore vengano concessi periodi di riposo compensativo. Appare evidente in base a tale disciplina che l’istituto de quo sottende l’idea che il ricorso ad esso deve rappresentare per l’impresa una necessità utilizzabile solo in casi limite, non altrimenti fronteggiabili con l’ordinario ciclo produttivo aziendale. Se ciò è vero allora non si vede come il lavoro straordinario possa conciliarsi con la cassa integrazione atteso che i due istituti si pongono rispettivamente in poli opposti, perché il primo è applicabile quando la prestazione non è realizzabile con l’osservanza dell’orario ordinario di lavoro, il secondo invece è utilizzabile in via residuale laddove manchi un’attività che consenta di completare l’orario ordinario. Si aggiunga ancora che in prospettiva de iure condendo il disegno di legge delega n. 1428-B approvato definitivamente dal Senato il 3 dicembre 2014 (c.d. Jobs Act), all’art. 2 comma 1 lett. a), c) ha rimarcato il ruolo residuale degli ammortizzatori sociali fissando i seguenti principi:
“impossibilità di autorizzare le integrazioni salariali in caso di cessazione di attività aziendale o di un ramo di essa”;
“necessità di regolare l’accesso alla cassa integrazione solo a seguito di esaurimento delle possibilità contrattuali di riduzione dell’orario di lavoro”.
Le rare pronunce giurisprudenziali
In giurisprudenza si registrano rare decisioni. In un’occasione il Giudice amministrativo piemontese ha affermato che sotto un profilo logico risulta corretto ritenere che “[…] la contrazione degli ordini non può coincidere, di per sé, con attività di lavoro straordinario”, così come appare altrettanto “[…] logico e non manifestamente irrazionale ritenere […] che anche poche ore di straordinario siano in contrasto con l’asserita necessità di ridimensionare l’attività produttiva”.
A distanza di alcuni anni lo stesso Tribunale amministrativo ha cambiato indirizzo asserendo che l’autonomia tra reparti e settori produttivi aziendali potrebbe rendere ammissibile la compatibilità tra CIG e straordinario, specie laddove questo venga eseguito in numero di ore limitato. All’uopo è stato aggiunto che un eventuale “contrazione di mercato non necessariamente comporta la sospensione totale dell’attività produttiva dell’intera azienda e, conseguentemente, l’impossibilità di svolgere eventuali e limitate ore di lavoro straordinario”.
Sennonché a giudizio degli scriventi tale pronuncia su pone in contrasto con la normativa sopra citata e sconta una’evidente contraddizione di fondo.
Spunti riflessivi
Va premesso che, salvo che la realtà aziendale sia dislocata in differenti ambiti territoriali specie ove gli stessi siano distanti tra loro, l’autonomia dei settori produttivi non determina una compartimentazione slegata del ciclo produttivo e del personale in esso impiegato, atteso che l’analisi sulle modalità di gestione dei livelli occupazionali e sull’utilizzo degli strumenti di sostegno al reddito il più delle volte richiede una valutazione preventiva e sovente di carattere unitario dell’impresa. I vari settori aziendali per quanto autonomi appaiono pur sempre correlati teleologicamente agli obiettivi aziendali e pertanto postulano pur sempre una valutazione unitaria nell’ottica del ricorso agli ammortizzatori sociali.
Il giudizio de quo poi è di natura preventiva: basta considerare che le domande per la fruizione della CIGO e della CIGS possono comprendere periodi rispettivamente di 13 settimane consecutive (peraltro prorogabili fino ad un massimo complessivo di 52 settimane) e di 12 mesi. Anche secondo la giurisprudenza, alla quale si è uniformato l’INPS, la valutazione per la concessione della CIG si basa su un giudizio prognostico circa le capacità dell’impresa di continuare l’attività al termine della contrazione di lavoro. Tale giudizio va effettuato ex ante, con riferimento all’epoca in cui ha avuto inizio la contrazione dell’attività lavorativa, in relazione ad elementi di valutazione forniti principalmente dalla stessa.
Non a caso l’impresa, sin dall’avvio delle procedura della CIG deve comunicare alle rappresentanze sindacali dell’azienda o, in mancanza, alle organizzazioni sindacali di categoria dei lavoratori più rappresentative operanti nella provincia, le cause della sospensione, la durata prevedibile della stessa o della contrazione dell’attività nonché il numero dei lavoratori interessati e financo i criteri di scelta dei lavoratori da collocare in CIG. Tali requisiti della comunicazione sono richiesti dalla legge in modo tassativo allo scopo di:
di interpellare i lavoratori e discutere con costoro circa la natura, l’estensione e le conseguenze del provvedimento di sospensione del lavoro;
di predisporre eventuali soluzioni alternative da proporre al datore di lavoro;
di consentire alle rsu/rsa di chiedere al datore, entro tre giorni da detta comunicazione, l’esame congiunto della situazione, con particolare riguardo alla ripresa della normale attività produttiva e ai criteri di distribuzione del lavoro.
Quanto poi alla considerazione per cui la contrazione del ciclo produttivo non determina l’arresto dell’attività aziendale la stessa appare, a giudizio degli scriventi, una verità spesso non contestabile, ma tale prosecuzione lavorativa non sembra che possa essere fronteggiata mediante il ricorso al lavoro straordinario, quanto semmai e più opportunamente calibrando le ore di lavoro effettivamente svolte durante l’orario settimanale con le ore di CIG fruite per il medesimo periodo. In sostanza se nell’arco della settimana la somma tra le ore di lavoro effettivamente svolte e quelle di CIG sia superiore a 40, allora le ore aggiuntive andranno decurtate dalle ore di CIG. In altre parole il tetto delle 40 ore settimanali di CIG costituisce un limite oltre il quale l’indennità non è dovuta, sicché, ed esemplificando, se il lavoratore nei primi due giorni della settimana abbia lavorato per dieci ore e i restanti tre giorni sita stato collocato in CIG per 24 ore da quest’ultima andranno defalcate quattro ore, che sono pari alla differenza tra la somma delle ore lavorate e delle ore di CIG onde raggiungere il limite delle 40 ore settimanali.
Al riguardo si potrebbe prospettare che la predetta incompatibilità tra lavoro straordinario e CIG debba essere misurata non su base settimanale, bensì mensile, perché diversamente ragionando si potrebbero avere esiti penalizzanti per quei lavoratori che non vengano collocati in CIG e lavorino tutto il mese rispettando l’orario normale. Costoro infatti percepirebbero la sola retribuzione ordinaria, che risulterebbe, in linea di massima, inferiore rispetto a quella di colleghi, di pari livello, che invece abbiano svolto per metà mese l’orario normale di lavoro più le prestazioni di lavoro straordinarie e per il restante periodo siano stati collocati in CIG. Questi ultimi in altri termini pur lavorando effettivamente per un orario inferiore ai primi, risulterebbero beneficiari di un trattamento retributivo maggiore. Si tratta di un’evenienza se si vuole paradossale, ma che sconta un dato difficilmente superabile e che è rappresentato dal testo normativo che perimetra temporalmente lo straordinario e la CIG sulla base dell’orario settimanale.
Sulla scorta delle argomentazioni esposte si può esporre la soluzione prospettabile al caso di specie.
Il caso concreto
I lavoratori Tizio e Caio si sono recato alla DTL per effettuare una denuncia nei confronti del proprio datore di lavoro, lamentando la cattiva gestione da parte di quest’ultimo della Cassa integrazione consistente nel cumulo di quest’ultima con lavoro straordinario. Secondo quanto sopra detto gli scriventi sono dell’avviso che tale cumulo non possa essere effettuato su base settimanale e che le ore effettive di lavoro che determinino uno sforamento del tetto massimo di ore indennizzabili mediante CIG vadano a incidere per sottrazione sul tetto orario settimanale dell’ammortizzatore sociale. In tale caso comunque si ritiene opportuno che gli ispettori segnalino l’accaduto all’INPS per le eventuali valutazioni di competenza, all’esito delle quali, per spirito di uniformità dell’azione amministrativa, procederanno alla redazione del relativo verbale.
NOTE
i Cass. civ. Sez. lavoro, 14/02/2001, n. 2138; Conforme INPS, cfr. messaggio n. 6990/2009.
ii Cons. Stato Sez. VI, 22/04/2014, n. 2009.
iii T.A.R. Sardegna Cagliari Sez. I Sent., 27/02/2008, n. 283.
iv Per individuare come causa integrabile una “mancanza di commesse”, la Commissione CIGO richiederà all’azienda tutta la documentazione utile quale: - numero delle commesse; - fatturato del periodo richiesto paragonato al fatturato dello stesso periodo per anni precedenti; - consumi energetici; - bilanci; - denunce IVA. Se al termine dell’istruttoria dovesse essere dimostrata una reale mancanza di ordini o commesse, le richieste verranno accolte. In caso contrario (causa integrabile riconducibile ad una “sosta stagionale”) le richieste verranno respinte (INPS, msg. 28069/2009).
v Cfr. Circolare Ministero lavoro n. 28/2005.
vi In considerazione del principio di “pluriefficacia della comunicazione”, non trova più applicazione, almeno con riferimento alle tipologie oggetto della comunicazione preventiva di instaurazione del rapporto, l’obbligo imposto al prestatore di lavoro di comunicare all’INPS lo svolgimento di attività di lavoro autonomo o subordinato durante il periodo di integrazione salariale ex art. 8, comma 4, Legge n. 160/1988 (Min. Lav., interpello 19/2012). Le comunicazioni di assunzione, cessazione, trasformazione e proroga effettuate attraverso il sistema telematico gestito dal Ministero del Lavoro sono valide ai fini dell’assolvimento di tutti gli obblighi di comunicazione, ricomprendendo tra questi anche quelli a carico dei lavoratori dipendenti nei confronti delle Direzioni regionali e territoriali del lavoro, dell’INPS, dell’INAIL ma anche della Prefettura (INPS, circ. 57/2014).
vii Cfr. circolare INPS n. 107/2010.
viii Il carattere della multiperiodalità consiste nella possibilità di eseguire orari settimanali superiori e inferiori all’orario normale a condizione che la media corrisponda alle 40 ore settimanali o alla durata minore stabilita dalla contrattazione collettiva, riferibile ad un periodo non superiore all’anno.
ix Cfr. art. 5 comma 1 D.lgs. n. 66 cit..
x Cfr. art. 5 comma 2 D.lgs. n. 66 cit..
xi Cfr. art. 5 comma 3 D.lgs. n. 66 cit..
xii Cfr. art. 5 comma 4 D.lgs. n. 66 cit..
xiii T.A.R. Piemonte Torino Sez. II, 31/05/2005, n. 1906.
xiv T.A.R. Piemonte Torino Sez. II, 11/06/2011, n. 597.
xv La questione è stata affrontata dall’INPS con circolare 14 luglio 2003 n. 130
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