Rispondendo all’esplicito quesito riguardante la possibilità di consentire, anche nei luoghi di privata dimora, l’intercettazione di conversazioni o comunicazioni tra presenti mediante l’installazione di un captatore informatico in dispositivi elettronici (quali virus informatici su personal computer, tablet, smartphone, etc.), le Sezioni Unite penali di Cassazione hanno enunciato il principio di diritto secondo cui detta intercettazione è ammessa limitatamente ai procedimenti per delitti di criminalità organizzata.
Con particolare riferimento, poi, alla problematica relativa alla possibilità di poter prescindere dall’indicazione del luogo ovvero se l’omessa indicazione dei medesimi comporti l’illegittimità del decreto che abbia disposto le intercettazioni o quanto meno l’inutilizzabilità dei risultati di queste ultime, è stato precisato che i luoghi di privata dimora ai sensi dell’articolo 614 del Codice penale in cui l’intercettazione è ammessa possono pure non essere singolarmente individuati e non essere i siti di svolgimento dell’attività criminosa.
Contestualmente, è stata, altresì, specificata la categoria dei delitti di criminalità organizzata per i quali può trovare applicazione quanto enunciato.
Nel dettaglio, le Sezioni Unite hanno precisato che per reati di criminalità organizzata devono intendersi non solo i delitti elencati nell’articolo 51, comma 3-bis e 3-quater del Codice di procedura penale, ma anche quelli che fanno capo ad un’associazione per delinquere (articolo 416 Codice penale) correlata alle attività criminose più diverse, con esclusione del mero concorso di persone nel reato.
I principi sono stati enunciati nel testo della sentenza del massimo Collegio di legittimità n. 26889, depositata l’1 luglio 2016.
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