Per la Corte di cassazione, commette peculato il membro del Consiglio regionale che abbia destinato i contributi di cui abbia la disponibilità in ragione del proprio ufficio o servizio, al soddisfacimento di finalità diverse da quelle istituzionali, regolate dalla normativa di rilievo pubblicistico.
I contributi in oggetto, difatti, vanno ritenuti "altrui" in quanto ricevuti in stretta connessione con l'attività del gruppo di appartenenza.
In tale contesto, ai fini del delitto di cui all'articolo 314 del Codice penale, il concetto di "appropriazione" comprende anche la condotta di "distrazione", “in quanto imprimere alla cosa una destinazione diversa da quella consentita dal titolo del possesso significa esercitare su di essa poteri tipicamente proprietari e, quindi, impadronirsene“.
Nella vicenda esaminata dalla Suprema corte, con sentenza n. 53331 depositata il 23 novembre 2017, è stato ritenuto che gli imputati ricorrenti, due consiglieri regionali, destinando le risorse economiche erogate per il funzionamento del gruppo consiliare - risorse, ossia, assoggettate ad uno specifico vincolo di destinazione pubblica - ad una finalità diversa, estranea rispetto a quella istituzionale, si fossero comportati uti dominus, realizzando l'interversione del possesso.
Del resto – si legge nella decisione – l'errore in cui i ricorrenti avevano ritenuto di essere caduti, circa la illiceità della destinazione delle somme ricevute quali contributi per sostenere spese non ammissibili, si risolveva “in un errore su legge extrapenale integratrice del precetto, che pertanto non scusa”.
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