Fatti alla base del licenziamento tardivamente contestati dal datore di lavoro? Secondo il Tribunale di Ravenna deve essere applicata la reintegra e non l’indennità risarcitoria.
Con ordinanza del 12 gennaio 2022, la Sezione lavoro del Tribunale ravennate ha accolto il ricorso promosso da un lavoratore oppostosi al licenziamento disciplinare intimatogli dalla società datrice di lavoro, con richiesta di applicazione della reintegrazione sul posto di lavoro.
Nella decisione, il giudice di merito ha ritenuto che le istanze promosse dal dipendente fossero fondate.
Sui fatti posti a fondamento del recesso, in particolare, parte datoriale non aveva mai esercitato alcun potere disciplinare in tempi ragionevoli e prossimi agli stessi, pur avendo la totale e completa disponibilità della relativa documentazione, peraltro fornita in buona parte dallo stesso lavoratore (spese sostenute).
Ciò considerato - si legge nella decisione - è da ritenere applicabile l'art. 18, comma 4 della Legge n. 300/1970 (tutela reale) anche se in espresso disaccordo con le conclusioni a cui sono giunte le Sezioni Unite della Cassazione con sentenza n. 30985/2017 in ordine all'applicabilità, invece, della tutela indennitaria.
Per il Tribunale, "un fatto sul quale il datore ha inequivocabilmente soprasseduto al momento della commissione dello stesso e nell'arco di tempo necessario per la sua emersione e valutazione, non può che essere considerato "giuridicamente" insussistente laddove posto a fondamento di un licenziamento tardivo, con conseguente applicazione del 4 comma dell'art. 18, vale a dire della tutela reale".
Si tratterebbe di un fenomeno definibile come di "insussistenza giuridica sopravvenuta del fatto": un fatto "perdonato", divenuto quindi disciplinarmente irrilevante, non può tornare ad essere un fatto disciplinarmente rilevante e giustificare un licenziamento tardivo, solo perché il fatto in questione sussisteva prima che il datore di lavoro esercitasse la libera (ma vincolante) scelta di non reprimerlo.
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