La Consulta ha dichiarato non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 28, comma 4, del Decreto legislativo n. 175/2014 (Semplificazione fiscale e dichiarazione dei redditi precompilata), sollevate, con riferimento agli artt. 3 e 76 della Costituzione, dalla Commissione tributaria provinciale di Benevento.
La norma di riferimento – si rammenta – prevede che, ai soli fini della validità e dell’efficacia degli atti di liquidazione, accertamento, contenzioso e riscossione dei tributi e contributi, sanzioni e interessi, l’estinzione della società di cui all’articolo 2495 del codice civile abbia effetto trascorsi cinque anni dalla richiesta di cancellazione dal Registro delle imprese.
Secondo la CTP, la disposizione censurata, differendo l’efficacia dell’estinzione delle società cancellate dal registro delle imprese con riguardo ai soli rapporti con l’amministrazione finanziaria e facendo, così, rivivere per un lungo lasso di tempo un soggetto estinto, violerebbe l’art. 3 della Costituzione, determinando una ingiustificata disparità di trattamento tra l’amministrazione finanziaria e gli altri creditori sociali.
Parimenti, la stessa previsione violerebbe l’art. 76 della Carta costituzionale, sostanziandosi in un intervento che eccede dal perimetro delle misure finalizzate all’eliminazione degli adempimenti superflui o di scarsa utilità, per come indicate dalla relativa legge delega.
Rilievi, questi, giudicati infondati dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 142 dell’8 luglio 2020: la norma in oggetto, favorendo l’adempimento dell’obbligazione tributaria verso le società cancellate dal Registro delle imprese, non determinerebbe affatto un’ingiustificata disparità di trattamento.
Per i giudici costituzionali, infatti, non può dirsi configurabile una piena equiparazione fra le obbligazioni pecuniarie di diritto comune e quelle tributarie.
E questo, in considerazione della particolarità dei fini e dei presupposti di queste ultime, giustificata con la “garanzia del regolare svolgimento della vita finanziaria dello Stato” cui è volto il credito tributario.
In definitiva – si legge nelle conclusioni della decisione della Consulta - l’interesse fiscale perseguito dalle obbligazioni tributarie giustifica lo scostamento dalla disciplina ordinaria.
Con riferimento al rilievo operato dal giudice rimettente relativamente all’asserita violazione dell’art. 76 della Cost., è stato inoltre sottolineato come la ratio della norma censurata non sarebbe estranea agli obiettivi di razionalizzazione dell’azione amministrativa in materia di attuazione e accertamento dei tributi perseguiti dalla delega.
La stessa disposizione, all'opposto, si porrebbe in linea di continuità e complementarità rispetto a tali obiettivi: nel consentire all’amministrazione finanziaria di compiere le ordinarie attività di accertamento nonostante l’estinzione della società, verrebbe agevolata la definizione delle situazioni giuridiche soggettive passive e attive del contribuente.
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