La Corte di cassazione, con ordinanza n. 11749 depositata il 15 maggio 2018, ha fornito un’esaustiva disamina in materia di consenso informato al trattamento sanitario e relativa risarcibilità in caso di violazione dei doveri informativi e di preventiva acquisizione.
Per gli Ermellini, il consenso informato, quale espressione della consapevole adesione al trattamento sanitario proposto dal medico, rappresenta vero e proprio diritto della persona e trova fondamento nei principi espressi nell'articoli 2, 13 e 32, secondo comma, della Costituzione.
L'obbligo del medico, quindi, di acquisire il consenso informato del paziente costituisce “legittimazione e fondamento del trattamento”, atteso che, senza la preventiva acquisizione di esso, l'intervento è, al di fuori dei casi di trattamento sanitario per legge obbligatorio o in cui ricorra uno stato di necessità, sicuramente illecito, anche quando è nell'interesse del paziente.
Poiché, poi, l'obbligo informativo del medico si correla al diritto fondamentale del paziente all'espressione della consapevole adesione al trattamento sanitario propostogli, la prestazione che ne forma oggetto costituisce una prestazione distinta da quella sanitaria.
Ne consegue che l’eventuale violazione di questo obbligo assume autonoma rilevanza ai fini dell'eventuale responsabilità risarcitoria del sanitario, in quanto, mentre l'inesatta esecuzione del trattamento medico- terapeutico determina la lesione del diritto alla salute, l'inadempimento dell'obbligo di acquisizione del consenso informato determina la lesione del diritto fondamentale all'autodeterminazione del paziente.
Nell'ipotesi, poi, in cui l'intervento sanitario, non preceduto da un'adeguata informazione del paziente sui possibili effetti pregiudizievoli non imprevedibili, sia stato correttamente eseguito in base alle regole dell'arte ma da esso siano tuttavia derivate conseguenze dannose per la salute, può affermarsi che la lesione della salute sia causalmente collegabile alla violazione dell'obbligo informativo.
In tal caso, la violazione del dovere di informazione non determina soltanto il danno da lesione del diritto all'autodeterminazione in sé, ma anche il danno alla salute, che non è causalmente riconducibile all'inesatta esecuzione della prestazione sanitaria ma alla mancata corretta informazione, quando debba ragionevolmente ritenersi che, se questa fosse stata data, il paziente avrebbe deciso di non sottoporsi all'intervento e di non subirne le conseguenze invalidanti.
Orbene, qualora si alleghi che la violazione dell'obbligo di acquisire il consenso informato abbia determinato anche un danno alla salute, è necessario dimostrare il nesso causale tra questo danno e quella violazione, prova che, per contro, non è necessaria ai fini dell'autonoma risarcibilità del danno da lesione del diritto all'autodeterminazione in sé considerato.
Per la Suprema corte, infatti, il danno-conseguenza rappresentato dalla sofferenza e dalla contrazione della libertà di disporre di se stesso, corrisponderebbe allo sviluppo di “circostanze connotate da normalità e all'id quod plerumque accidit” in seguito alla violazione dell'obbligo informativo, la cui risarcibilità non esige una specifica prova, e ciò in considerazione dell’immediata compromissione della genuinità dei processi decisionali fondati su dati alterati o incompleti per incompletezza delle informazioni.
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