Nel caso in cui il prezzo o il profitto cosiddetto “accrescitivo” derivante dal reato sia costituito da denaro, la confisca delle somme depositate su conto corrente bancario, di cui il soggetto indagato abbia la disponibilità, deve essere qualificata come confisca diretta.
Quest’ultima, in considerazione della natura del bene, non necessita della prova del nesso di derivazione diretta tra la somma materialmente oggetto della ablazione ed il reato.
E’ questo l’orientamento di Cassazione richiamato dalla Suprema corte con sentenza n. 107 del 3 gennaio 2018, dopo aver dichiarato di non condividere l'impostazione giuridica, contenuta nell’ordinanza davanti a lei impugnata, secondo cui sarebbe sempre necessaria, ai fini del sequestro finalizzato alla confisca di una somma di denaro, l'esistenza di un rapporto di pertinenzialità tra il denaro sequestrato ed il reato.
Secondo gli Ermellini, non assumeva nessuna importanza il fatto che, nel caso esaminato, non fosse stata fornita prova - non essendo stati effettuati accertamenti sui movimenti dei conti correnti bancari dell'indagato - che la somma sequestrata sul conto corrente non fosse in un rapporto di derivazione diretta con le indebite appropriazioni nella specie contestate.
Ciò che rilevava, infatti, è solo che le disponibilità monetarie si fossero accresciute della somma corrispondente agli importi sottratti, così legittimando il sequestro finalizzato alla confisca in forma diretta del relativo importo, ovunque o presso chiunque custodito nell'interesse del reo.
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