Anche senza richiesta espressa di revoca, se è prodotta prova del pagamento delle prime rate scadute dell'adesione il giudice deve ridurre d'ufficio la confisca dei beni dell'evasore.
L’ablazione definitiva di un bene non può mai essere superiore al vantaggio economico conseguito dall’azione delittuosa.
Su questo principio si basa la sentenza n. 33389 del 18 luglio 2018 emessa dalla Cassazione.
Dunque, anche se la revoca non sia stata richiesta espressamente dalla difesa (ex art. 12-bis del DLgs. 74/2000, introdotto dal DLgs. 158/2015), il giudice territoriale si sarebbe dovuto “porre d'ufficio la questione della sua applicazione, trattandosi di norma di carattere penale sostanziale più favorevole (è pacifica, di fatti, la natura sostanzialmente penale della confisca per equivalente che esclude l'applicazione della disciplina prevista per le misure di sicurezza)”.
La confisca, così come il sequestro preventivo ad essa preordinato, può essere adottata anche a fronte dell’impegno di pagamento assunto, producendo effetti solo se si verifichi l’evento futuro ed incerto costituito dal mancato pagamento del debito.
Ma se sia stato perfezionato un accordo tra il contribuente e l’Amministrazione finanziaria per la rateizzazione del debito tributario e questo sia stato in parte adempiuto, l’importo della statuizione deve essere ridotto in misura corrispondente ai ratei versati per effetto della convenzione. Questo per non incorrere in una inammissibile duplicazione sanzionatoria, in contrasto con l’impostazione per cui l’ablazione definitiva di un bene non può mai essere superiore al vantaggio economico conseguito dall’azione delittuosa.
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